Era appena ieri che ci interrogavamo perplessi sul ritorno alla normalità post pandemia. Ora che ci ritroviamo con la guerra in Ucraina, quella vera fatta di carri armati e bombardamenti, sangue per le strade e stragi di civili, affollano la mente pensieri anormali e drammatici. Dopo oltre 70 anni e due generazioni dalla fine del secondo conflitto mondiale, è finita l’illusione di un mondo al riparo da grandi turbolenze, per quanto scosso qui o là da battaglie isolate, magari terribili ma lontane, spesso sottovalutate nelle conseguenze.
Prima la pandemia poi lo shock della guerra
Ora non è più così, prima il virus poi la follia di una guerra devastante ci hanno portato via ogni illusione. Il futuro non sarà più lo stesso se, oltre la salute, anche la pace si mostra terribilmente fragile, in balìa delle volontà di un solo uomo potente, preda di ossessioni e paranoie.
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Non era prevedibile che la nostra vita fosse sconvolta da un virus invisibile, e siamo stati colti alla sprovvista dalla sfilata delle bare sui mezzi militari, dal lockdown imposto alla cittadinanza, dal mutamento di abitudini, dai cambiamenti nel lavoro e nella scuola, dalla precarietà giovanile. Non sapevamo ancora cosa ci sarebbe toccato dopo.
Ucraina, il mondo reagisce
Ci chiediamo, di fronte ai massacranti attacchi alle città ucraine, come sia stato possibile che scoppiasse la catastrofe, dove e quando abbiamo sbagliato a prevenire. Nello stesso tempo, vediamo che la barbarie ha però scosso il mondo, provocato un sussulto che sta assumendo un’infinità di forme. Dalle sanzioni economiche agli aiuti umanitari e militari all’Ucraina; dall’esclusione di Mosca dai circuiti istituzionali e finanziari alle proteste nelle piazze europee, Berlino, Milano, e persino – a rischio della vita e della repressione – nelle città russe.
Il filo conduttore che lega tutto è una reazione al sopruso, una presa di coscienza. Non si tratta soltanto della solidarietà verso un popolo martirizzato, è anche la presa d’atto di un cambiamento che investe le vite di chiunque persino in modo più penetrante della pandemia stessa. Qualcosa di strano accade quando si è messi all’angolo, allorché ci si trova in quella zona impervia e pericolosa che è la soglia del baratro.
Finalmente fuori dal nostro piccolo giardino
Perché è questa la percezione che ha finito per imporre il ripensamento, facendo riflettere sugli errori del passato, e sulle necessità del presente. Eravamo tutti ripiegati su noi stessi, sul piccolo giardino circostante, impegnati a prendere le distanze dagli altri: da Bruxelles con le sue Istituzioni ostili, oppure da nazioni vicine con una storia conflittuale, o ancora dal variegato mondo oltre i confini, reali o mentali: stranieri, immigrati, quelli che stanno peggio e perciò mettono in pericolo il nostro benessere.
Ci eravamo disabituati a parole come Europa, libertà, dignità, le ripetevamo fiaccamente in qualche ricorrenza, più per formalità che per convinzione. L’Europa, prima della pandemia, ha sbandato non solo nella tutela dei suoi valori ma nella stessa percezione dell’importanza, ha trascurato di curarli. Sembra proprio che quando gli eventi si fanno più cupi e opprimenti, minacciosi oltre misura, è dato riscoprire energie insospettate, e volontà nascoste.
Ucraina, che cosa ci insegna coraggio di un popolo
Certo, la prima risorsa che emerge impetuosa è il coraggio manifestato dagli ucraini, insospettato e sottovalutato. L’energia di chi sta combattendo in divisa, ma soprattutto quello diffuso nella società e nelle Istituzioni. Una forza che probabilmente Putin non ha preso affatto in considerazione, e che oggi è cruciale nella battaglia in corso, comunque vadano a finire le cose. Nessuno immaginava che un comico, eletto alla presidenza con tanti voti ma con una spinta emotiva, si dimostrasse un leader capace di galvanizzare il popolo e di guidarlo efficacemente. Di più, il presidente Volodymyr Zelensky ha saputo chiamare alla responsabilità il mondo intero, oltre che alle armi i compatrioti.
La lezione che viene dall’Ucraina è l’intraprendenza di chi non ha mai imbracciato un fucile ed è corso a farlo mettendo a repentaglio la vita. Dei ragazzi e delle ragazze che raccolgono bottiglie per farne delle molotov contro i carri armati russi. Delle donne che portano oltre confine i figli lasciando i loro uomini a combattere nelle città sapendo che vale la pena farlo, anzi è necessario.
La guerra in Ucraina e la svolta occidentale
Sul versante occidentale, questa crisi epocale ha rappresentato un punto di svolta. La battaglia di Kiev sta rifondando la storia dell’Europa unita, e il senso di identità dei paesi che credono nella democrazia. Non c’è da meravigliarsi forse, avremmo dovuto saperlo e mille altre volte ne abbiamo avuto conferma. Dobbiamo continuare ad avere fiducia nei nostri valori. Però ora che il conflitto è in corso e l’esito incerto, tocchiamo con mano un aspetto straniante.
L’appartenenza si scopre meglio nel contrasto, quando i fatti cruenti creano un solco, mostrano differenze che prima avevamo trascurato. L’invasione dell’Ucraina, nella sua tragicità smisurata, suona per gli occidentali (e speriamo anche per la popolazione russa) il più forte invito alla consapevolezza nel dopoguerra.
La deriva autoritaria di Vladimir Putin
In questi giorni, sono state analizzate le ragioni molteplici della deriva autoritaria di Vladimir Putin, e del suo azzardo a fare la guerra ad un altro popolo, che ha il solo torto di essere libero e di guardare all’Europa. Si sommano mille fattori del presente e del passato. Personali e pubblici. Dalle letture arbitrarie delle pagine di storia (l’Ucraina mai esistita come nazione e «sempre stata russa», i suoi governanti «nazisti e drogati», l’Occidente «un impero di bugie»), al sogno di ripristinare la potenza di un tempo (quella dell’Unione sovietica se non degli zar), alla pericolosissima voglia di espansionismo militare e di conquista territoriale.
Sono elementi, tutti amplificati e resi micidiali dalla storia personale di Putin, che ha vissuto un’infanzia povera, ha subìto impotente, da funzionario del Kgb sovietico nell’ex Germania Est, l’umiliazione della fine di un’epoca, che ha lungamente coltivato in questi venti anni di potere assoluto la voglia di riscatto di sé stesso e del paese, di vendicarsi delle avversità, che ora è persino ossessionato dal Covid tanto da isolarsi e diventare inaccessibile.
Distruggere la democrazia?
La tragedia assume la forma di una commistione esplosiva tra destino personale dell’uomo e politica nazionale russa, uno dei paesi più grandi e potenti. Se ora egli vede nella democrazia l’avversario da battere, essendo intollerabile che il mondo slavo sia diviso e non sottomesso alla madre Russia, il suo percorso è la dimostrazione del fallimento del paese come società moderna, capace di dotarsi di Istituzioni liberali. Alla fine, il dramma è quello proprio degli Stati autoritari che non sanno affrontare la sfida del cambiamento, e rimangono rivolti al passato.
Tutto il presente è riconducibile alla parabola dell’uomo solo che, per tanto tempo, ha esercitato un potere enorme ed incontrollato, diventando alla fine ingombro nocivo per il suo stesso popolo e seria minaccia per chiunque. L’assenza di democrazia in Russia ha reso possibile simile anomalia permettendo che si sviluppasse senza limiti. Se l’isolamento individuale è l’incubatore del pensiero ossessivo e paranoico, la deriva autoritaria si evolve inevitabilmente nell’uso delle armi e persino nel terrorismo contro un popolo inerme.
*Angelo Perrone, è giurista e scrittore. È stato pubblico ministero e giudice. Si interessa di diritto penale, politiche per la giustizia, tematiche di democrazia liberale. È autore di pubblicazioni, monografie, articoli.