Dopo l’effetto tsunami generato dalla pandemia è forse giunto il momento per un reale cambio di passo, reso possibile dalle risorse fornite dal Recovery Fund, da impiegare attraverso il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. Oggi abbiamo l’occasione per svecchiare e ammodernare l’Italia e per capire che non possiamo continuare a pretendere di campare di rendita sul lavoro fatto dagli italiani del dopoguerra. Sappiamo tutti con quale impegno e spirito di sacrificio, quelle generazioni seppero ricostruire un Paese distrutto dalla guerra e come seppero trasformare una economia povera e arretrata in una delle prime dieci economie mondiali. Sono passati sessant’anni e non siamo stati capaci neppure di mantenere la dote infrastrutturale consegnataci in eredità. Basti pensare alle condizioni pietose di strade, ponti, porti e aeroporti, e alle infinite lentezze a cui sono sottoposte eventuali nuove opere. Decine di anni per approvare un progetto; tempi biblici tra un ricorso e i permessi delle tante, troppe, “autorità competenti” nazionali, regionali e locali; anni per collaudare un’opera faticosamente portata a termine. Un Paese imbrigliato, in ostaggio di una burocrazia asfissiante, di un sistema di regole di impronta feudale.
Il momento di ricostruire un Paese che vive ancora sul lavoro fatto dagli italiani del dopoguerra
La manutenzione ormai serve a poco perché la nostra dotazione infrastrutturale è talmente obsoleta che non vale più la pena di conservarla. Occorre demolire e ricostruire se veramente si vuole rilanciare l’economia nazionale. Il Ministro per le Infrastrutture, Enrico Giovannini, ha recentemente lanciato un forte segnale di discontinuità, nominando 29 commissari per 57 opere pubbliche mettendo in moto risorse cospicue da anni stanziate e mai utilizzate. È certamente il segno tangibile di una nuova volontà e, tuttavia, non ancora sufficiente a rispondere alle esigenze profonde di un Paese che voglia confrontarsi con la globalizzazione e stare al passo con le economie più avanzate. Al tempo stesso, tuttavia, questa scelta appare come la definitiva condanna dell’antisistema italiano (la burocrazia e il diritto amministrativo), un coacervo talmente aggrovigliato su se stesso da apparire non più riformabile. La scelta del commissariamento significa, in sostanza, ammettere che in Italia l’ordinaria amministrazione richiede atti straordinari.
La scelta del commissariamento significa che in Italia l’ordinaria amministrazione richiede atti straordinari
Quello delle costruzioni rappresenta da sempre un settore cruciale. L’edilizia abitativa e le opere pubbliche sono indicatori dello stato di salute del Paese, della sua evoluzione sociale ed economica, della sua competitività e capacità di affrontare le nuove sfide. Le infrastrutture costituiscono un fattore di sviluppo del sistema territoriale nel suo complesso, al quale viene attribuito un ruolo che va oltre la semplice risposta ai bisogni specifici di produzione.
Le infrastrutture costituiscono, infatti, un apparato la cui funzionalità ha ricadute importanti su diversi aspetti della vita di una comunità, poiché rappresentano uno dei pilastri portanti dello sviluppo economico e sociale ed influenzano direttamente produttività, reddito e occupazione, in un intreccio di causa-effetto.
Ricostruire vuol dire soprattutto innovare e modernizzare il sistema infrastrutturale italiano
Purtroppo, l’Italia soffre di un grande ritardo nella qualità di molti servizi pubblici rispetto ai suoi partner europei e tale gap interessa anche il sistema infrastrutturale. Gli effetti di questa progressiva sotto-dotazione di capitale fisso sociale si riflettono sulla competitività del nostro apparato produttivo e, di conseguenza, sulla qualità della vita dei cittadini. Per questo occorre passare dalla logica dell’emergenza e del timore del rischio, alla normalità nella programmazione delle opere pubbliche, ossia individuare un quadro di obiettivi chiari e da perseguire con tenacia, sostituendo vaghe aspettative con concrete procedure per realizzare quanto effettivamente serve con maggiore priorità.
L’ampliamento dell’offerta di reti infrastrutturali è, quindi, oggi, uno dei primi punti sui quali costruire programmi di sviluppo economico e sociale. Gli investimenti in infrastrutture sono sinonimo di ammodernamento, tutela e salvaguardia del territorio, sviluppo e crescita dell’economia.
L’Italia è oggi al 53esimo posto al mondo per infrastrutture di base
Per quanto riguarda le infrastrutture strategiche (strade, gas, energia, telecomunicazioni), le società concessionarie spartiscono molti utili a fronte di ben pochi investimenti. L’Italia è oggi al cinquantatreesimo posto al mondo per infrastrutture di base. Senza contare la vetustà del comparto. Le infrastrutture autostradali italiane hanno un’anzianità pari al 75% della loro vita utile, quelle telefoniche pari all’81%. Il tasso di rinnovamento annuo è molto basso.
Stime del Global Infrastructure Outlook del G20 evidenziano come in Italia, nei prossimi venti anni, mancheranno oltre 373 miliardi di euro per la realizzazione delle opere infrastrutturali necessarie al Paese. Anche quando i fondi sarebbero poi disponibili, il Sistema Paese non sembra in grado di spenderli. Al riguardo basti pensare come l’Italia, nell’ultimo quinquennio, abbia speso solamente il 40% dei fondi strutturali europei o al fatto che, nel 2018, l’Associazione nazionale dei costruttori edili (ANCE) stimava in 749 il numero di opere pubbliche ferme, equivalenti a circa 62 miliardi di euro.
Anche quando i fondi sarebbero disponibili, il Sistema Paese non sembra in grado di spenderli
I dati SACE indicano che il divario infrastrutturale italiano, rispetto ai principali concorrenti, fa perdere al Paese circa 70 miliardi di euro l’anno per mancate esportazioni (circa il 4% del Pil). Sempre in relazione all’arretratezza del sistema italiano, confrontato con quello dei principali partner europei, risulta interessante il Logistic Perfomance Index (Lpi) sviluppato dalla Banca Mondiale. Questo Indice misura l’efficienza logistica di un paese sulla base di cinque parametri. In questa classifica, in cui la Germania si trova al primo posto, l’Italia si colloca diciannovesima, dodicesima tra i paesi dell’Unione europea.
Per quanto riguarda la qualità delle infrastrutture stradali, colpiscono i dati Eurostat relativi alla dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno. Ebbene, dal 1990 ad oggi questa è rimasta sostanzialmente invariata mentre è, ad esempio, aumentata di oltre l’1% annuo in Germania e a ritmi del 5% l’anno in Spagna. Infine, il Mezzogiorno, sempre secondo dati Eurostat, presenta i peggiori livelli di accessibilità alla rete stradale d’Europa.
In Italia 3 edifici su 4 hanno più di 40 anni
Anche il patrimonio abitativo italiano sente il peso della sua età. 3 edifici su 4 hanno più di 40 anni (il 73% è stato costruito prima del 1980), il 57% ha 50 anni o più – solo il 2% è stato costruito dopo il 2000. Conseguentemente, l’attività edilizia è concentrata nel campo delle ristrutturazioni e del rinnovo anziché nelle costruzioni – il 75% della spesa è destinato al mantenimento e alla ristrutturazione. Il settore delle costruzioni deve confrontarsi con la crisi iniziata nel 2008, mai del tutto superata fino alla nuova frenata legata alla pandemia. Gli occupati nel settore erano 2 milioni nel 2008, 1,4 nel 2020.
Nonostante il quadro appena delineato, nei prossimi anni al nostro Paese si presenterà l’occasione di investire per innovare e modernizzare il sistema infrastrutturale italiano. I fondi europei del Recovery Plan e la volontà di alcuni dei principali fondi di investimento internazionali di investire nelle infrastrutture strategiche italiane potrebbero mettere l’Italia in condizione di colmare la distanza, in termini di dotazioni infrastrutturali, con gli altri principali paesi europei e, possibilmente, di ridurre il divario tra il Nord e il Sud del Paese.
Ricostruire tenendo conto di green economy e sostenibilità è una straordinaria opportunità
Secondo le rilevazioni dell’Eurispes (2021) una larga parte degli italiani, il 50,4% (contro il 23,5%), si dice favorevole nel replicare, per la realizzazione delle opere pubbliche nel nostro Paese, il modello “ponte di Genova”, con la nomina di un Commissario straordinario che garantisca il rispetto dei tempi, velocizzando i processi burocratico-amministrativi.
Il momento sembra inoltre propizio per uscire dall’impasse, prestando ascolto in primo luogo ad una domanda in evoluzione, frutto dell’accresciuta sensibilità dei cittadini ai temi green ed alle soluzioni sostenibili (in primis, l’efficientamento energetico). Questo mutamento culturale, in concomitanza con la costituzione del Ministero per la Transizione Ecologica e con la coerente messa a punto del Recovery Plan, rappresenta anche per il settore delle costruzioni una straordinaria opportunità di crescita e di rilancio della competitività dei territori. Affinché ciò sia possibile, è però indispensabile procedere alla sburocratizzazione amministrativa e all’accelerazione dei cantieri, con particolare attenzione per l’eccesso di norme e lacciuoli che rallentano o bloccano i processi virtuosi.
Proprio in questi giorni è in discussione il Decreto Semplificazioni; il cosiddetto “sbloccacantieri” avrà una durata di 6 anni e rappresenta il punto d’incontro tra le ormai storiche richieste provenienti dall’Europa, tra le diverse voci interne al Governo, ma anche tra sindacati, Anac, Ance. L’Ue chiede, pena la perdita di una parte delle risorse del Recovery, di abolire il limite del 40% di subappalti per la realizzazione di un’opera.
Semplificare le norme non deve pregiudicare la tutela della legalità e della trasparenza
Nel ripensamento delle norme che regolano gli appalti, su spinta di sindacati, Ance, Pd, 5Stelle e Leu, è stato eliminato il controverso criterio del massimo ribasso per l’aggiudicazione dei lavori – il prezzo più basso come fattore privilegiato per l’assegnazione dei lavori si traduce troppo spesso nella rinuncia a qualità e sicurezza. Se, da un lato, è evidente che la semplificazione del Codice degli Appalti è indispensabile per la realizzazione delle opere previste dal Recovery Plan, dall’altro lato, semplificare le norme con l’obiettivo di velocizzare la realizzazione delle opere non deve pregiudicare la tutela della legalità e della trasparenza.
Come è noto, infatti, quello degli appalti pubblici rappresenta uno dei principali settori nel mirino della criminalità di stampo mafioso, strategico poiché permette non soltanto ingenti guadagni, ma anche l’investimento dei capitali acquisiti con le attività illecite ed il riciclaggio di denaro sporco. Nel primo semestre del 2020 la DIA ha svolto 787 monitoraggi nei confronti di altrettante imprese e 15.364 accertamenti su persone fisiche a vario titolo collegate alle suddette imprese. I provvedimenti interdittivi emessi dagli Uffici Territoriali del Governo nel primo semestre del 2020 sono stati 384 (278 nel Mezzogiorno, 73 al Nord, 33 al Centro).
Occorre, dunque, trovare un equilibrio tra la necessità di adeguamento agli standard europei e di efficientamento della macchina che gestisce la realizzazione delle opere pubbliche, da un lato, e le attività di prevenzione e contrasto delle infiltrazioni criminali, dall’altro.
Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes.