È innegabile. La nostra esistenza non solo “passa da” Internet, ma è sempre più “spostata su” Internet. Non a caso Metaverso è la parola dell’anno. Un universo parallelo e virtuale non per forza aderente alle caratteristiche proprie di quella che noi definiamo la nostra “realtà”. Il web genera un luogo di infinite possibilità. Come già alcuni teorici sottolineavano quando i media non erano digitali e la loro fruizione era possibile solo in modalità passiva: il problema non è tanto lo strumento ma l’uso che se ne fa. E questo vale soprattutto per la veicolazione di informazioni e per le tipologie di comunicazione che viaggiano nei circuiti virtuali.
Proprio in questi giorni, sotto la spinta del conflitto tra la Russia e l’Ucraina, il Parlamento europeo ha proposto una serie di contromisure sulla scorta dei risultati dell’indagine della Commissione speciale sulla disinformazione e l’ingerenza straniera. Dall’indagine emerge infatti una generale mancanza di consapevolezza della gravità della manipolazione delle informazioni condotta da paesi stranieri, aggravata dalle lacune legislative e dalla difficoltà dei Paesi Ue di coordinarsi e darsi delle regole. Questo fenomeno si genera soprattutto attraverso le piattaforme Social. L’argomento interessa sempre più i diversi strati della società e anche le parti sociali si sono rese conto di quanto la “disinformazione elettronica” sia oggi più che mai un problema gravoso da affrontare per le importanti ricadute sui sistemi nazionali e sul mondo del lavoro. Ne abbiamo parlato con Nino Sorgi, Coordinatore Attività Internazionali della CISL.
Dottor Sorgi, il Coordinamento Internazionale Confederale della CISL ha recentemente promosso un incontro sul tema dal titolo “The Platform Society”, che cosa significa oggi per il sindacato occuparsi di fake news e comunicazione su Internet?
Significa stare dentro i processi di cambiamento della società. I cambiamenti derivano da processi che non abbiamo il potere di interrompere o combattere. Dobbiamo saperli cogliere, entrarci dentro per promuovere quelle linee di sostegno, di tutela e di difesa delle persone. L’informazione, bene primario di una società libera e democratica, attraverso la Rete e la diffusione incontrollata di notizie false, è sotto attacco. Dobbiamo esserne consapevoli e ragionare su quali strumenti di difesa si possano mettere in atto per svolgere appieno il nostro compito di soggetto sociale, attento ai bisogni delle persone. D’altro canto, dobbiamo tener presente che con le piattaforme sociali gestite ad esempio da Google, Facebook, Twitter, Instagram, Tik Tok, WhatsApp, siamo di fronte ad un oligopolio che attualmente ha in mano i dati di circa 4 miliardi di persone (più della metà degli abitanti del pianeta) e che, non a caso, è in assoluto il settore a più alta redditività a livello mondiale. In questi anni i Social media sono diventati dei veri e propri Stati con leggi (termini e condizioni), cittadini (followers), economia (domanda e offerta di beni e servizi), metafisica e religione (l’algoritmo che elabora i dati e distribuisce i contenuti).
Come si pone il sindacato rispetto ad economie sempre più governate dagli algoritmi e dall’uso dei Big Data per orientare le politiche dei paesi ed anche gli orientamenti della società?
Le rispondo raccontando un’esperienza personale di qualche anno fa. Durante la riforma di Poste Italiane – allora guidavo la federazione dei postali della Cisl – proposi a Tancredi Bianchi, all’epoca presidente dell’ABI, di tentare una grande alleanza tra i due sistemi a rete: quello postale e quello bancario, evitando la proliferazione di tanti uffici inutili. L’alleanza non si fece per una sorta di visione elitaria del sistema bancario. Il risultato è che oggi il sistema bancario è in crisi e continua a chiudere filiali mentre Poste Italiane continua a crescere. Il senso di questa storia è che, per affrontare i grandi cambiamenti che abbiamo di fronte, occorre avere la capacità di costruire alleanze attorno ad un grande progetto di sostenibilità sociale, oltre che economica.
Come cambia in questo senso – cioè rispetto alla Gig economy e alla mancanza di regole in alcuni settori nuovi – il mondo del lavoro?
Più che cambiare, il mondo del lavoro viene stravolto. Se i requisiti fondamentali che caratterizzano il sistema delle tutele e delle garanzie non viene più rispettato – che è quello che oggi sta accadendo – siamo di fronte ad un atto di aggressione contro le parti più deboli della società. E noi, questo, non lo possiamo consentire.
Quali azioni, a Suo giudizio, è necessario intraprendere per tentare di governare il cambiamento?
Ribadisco: occorre avere la capacità di creare grandi alleanze. L’Europa ha costruito il Welfare State – vera pietra miliare nello sviluppo dei paesi europei – grazie alla condivisione di un modello tra le controparti di allora. Perché oggi, nel pieno della rivoluzione digitale, non si può ricreare quel clima per garantire e tutelare gli interessi di tutti? Ad esempio. Nel nostro documento sulla “Platform Society” abbiamo raccolto e fatto nostra la raccomandazione dell’UNESCO agli operatori pubblici e privati contenuta, nel Memorandum di Ugra (2021), di adottare un Codice Etico Digitale Universale per indirizzare la rivoluzione digitale verso un reale progresso equo e condiviso e vorremmo che il Governo italiano intensificasse l’impegno ad operare in questa direzione, anche in sintonia con le autorità europee. Solo una regolamentazione legislativa e contrattuale che faccia riferimento a chiari valori da rispettare può correggere e bloccare gli impatti sociali negativi e aprire a nuovi scenari di reale avanzamento. I sindacati sono pronti a dare il proprio contributo nel quadro di un dialogo sociale rafforzato. Inoltre, abbiamo anche proposto, nell’ambito della cosiddetta bilateralità, di introdurre nei contratti collettivi nazionali di lavoro CCNL una Commissione bilaterale sull’Intelligenza Artificiale per valutare l’impatto della introduzione delle nuove tecnologie digitali sui lavoratori e sui processi produttivi. Anche all’interno delle singole aziende sarebbe opportuno introdurre la figura di un Responsabile sindacale per la digitalizzazione che operi in modo bidirezionale con il Responsabile aziendale della protezione dei dati.
L’informazione è il nuovo paradigma che definisce il potere. Un potere inteso dunque come la possibilità e la capacità di detenere le informazioni e gestire la comunicazione. E questo concetto, come scriveva Manuel Castells già alla fine degli anni Novanta, è vero per qualsiasi entità riesca ad accumulare e gestire informazioni, che si tratti di uno Stato, di una multinazionale o altro. Quanti hanno davvero cognizione di quale sia un’informazione artefatta e quale invece corrispondente alla realtà?
Partiamo col dire che l’informazione è uno dei pilastri su cui si fonda lo sviluppo libero e democratico di una società. Per questo, non può essere oggetto di strumentalizzazione o sottoposta all’occupazione strumentale da parte di alcuni centri di potere per fini contrari all’interesse comune. Dobbiamo diffondere questa consapevolezza attraverso la nostra capacità di far crescere una cultura sociale che veda nell’informazione uno strumento di ampiamento delle proprie conoscenze. Un arricchimento a cui tutti devono poter partecipare. È una lotta dura, non vi è dubbio. Lo dimostra il fatto che da quando nel 2019 la nuova Commissione Europea ha deciso di proporre normative più stringenti per il settore digitale, la spesa per lobbyingdelle aziende tech ha cominciato a crescere fino a raggiungere i 97 milioni di euro l’anno. Parallelamente, è cresciuta la loro influenza politica. Solo dieci aziende sono responsabili di quasi un terzo della spesa totale delle lobby tecnologiche. In particolare: Vodafone (€ 1.750.000), IBM (€ 1.750.000), QUALCOMM (€ 1.750.000), Intel (€ 1.750.000), Amazon (€ 2.750.000), Huawei (€ 3.000.000), Apple(€ 3.500.000), Microsoft (€ 5.250.000), Facebook (€ 5.550.000) e con il budget più alto, Google (€ 5.750.000) (Vedi il Rapporto dell’Osservatorio sulle Lobby, 2021).
Secondo Lei, come possiamo difenderci dalle fake news in un contesto ormai globalizzato dove i flussi informativi sono talmente eterogenei da essere difficili da gestire?
Ripeto il concetto: bisogna capire in quale direzione stia andando il mondo. Solo nel momento in cui abbiamo la certezza di aver compreso la natura del cambiamento, possiamo individuare le giuste alleanze per costruire un percorso di governabilità di questi processi. Io sono convinto che non si possa combattere il cambiamento. Non è il tempo delle barricate. È il tempo di studiare, approfondire e ricercare soluzioni comuni.