Sono sempre le persone normali che cambiano il mondo. L’importante è crederci, senza stancarsi mai di sfidare l’esistente. L’uomo più ricco del mondo (Rizzoli) è un libro su una di queste persone, Satoshi Nakamoto, ideatore dei bitcoin (forse) – non vogliamo infatti togliere al lettore il gusto di scoprire la composizione del puzzle fino allo svelamento del mistero. Si capisce subito che il problema non è l’identità del singolo, perché non fa la differenza, l’attenzione dell’autore si concentra sull’entità e le conseguenze della rivoluzione tecnologica. «Nakamoto potrebbe essere una delle tante icone, reali o virtuali, della digital society. Una delle nuove divinità della nostra epoca, da sempre gli uomini hanno bisogno di trovare guide e quando le guide terrene falliscono, cerchiamo risposte e responsabilità in modelli che hanno matrici ideologiche, spirituali, invisibili e intoccabili. Il protagonista del mio racconto è frutto di questa esigenza. Chi si cela dietro di lui ha cercato disperatamente di sparire dai radar e facendoci capire che bisognava concentrarsi sui fenomeni di trasformazione che stanno modificando equilibri sociali ed economici che credevamo consolidati».
L’uomo più ricco del mondo è un libro che racconta la storia dell’ideatore dei bitcoin
L’argomentare di Comandini si conferma sempre brillante, il magazine si era occupato del suo ultimo scritto: Da zero alla luna (Ed. Dario Flaccovio) coniugato com’è al futuro, che è la cifra di questo brillante imprenditore e manager inserito dalla rivista Forbes tra gli under 30 più influenti del Pianeta, considerato da Millionaire tra i quindici giovani in grado di cambiare il volto del nostro Paese. In questo scritto è la ricchezza il tema centrale, concetto difficile da declinare nella società del web segnata dagli extra profitti dei giganti di Internet e dal prepotente sviluppo del “capitalismo delle piattaforme” fenomeno complesso da disciplinare. «Nulla di diverso rispetto a quanto siamo sempre stati abituati – commenta l’autore – il turbocapitalismo ci aveva, infatti, condotti molto prima dell’era dei colossi web a percorrere itinerari non facili da decifrare. Gli extra profitti in passato erano generati da altre industrie ed altri “giganti”, refrattari alla disciplinare, che in seguito sono stati inquadrati in un tessuto normativo, attraverso un processo che ha comunque portato alla nascita di una nuova era e all’emergere di nuovi colossi. Ritengo che in breve tempo dovrà farsi strada una regolamentazione più stringente, soprattutto a livello fiscale, dei colossi web e questo porterà verso un diverso mercato, magari proprio inerente a quello che possiamo definire come web3. Serviranno teorie economiche aggiornate per spiegare quello che sta già accadendo, inutile cercare di praticare conoscenze obsolete, che hanno fatto il loro tempo. Persino termini chiave come “privacy” e “dato”, andranno sintonizzati e riscritti, lo richiede la rivoluzione in corso». Blockchain è oggi la parola passpartout, sulla bocca di tutti anche se pochi ne conoscono realmente il significato. «Si tratta di una tecnologia rivoluzionaria che si pensa potrà cambiare la nostra quotidianità da dieci a quindici volte più di quanto abbia fatto Internet – spiega l’imprenditore – non è altro che un registro di informazioni immutabile e basato su crittografia, simultaneamente condiviso in maniera decentralizzata tra più utenti, che hanno tutti lo stesso potere in virtù del quale possono tutti consultarlo, ma le decisioni spettano alla maggioranza di loro, come nel caso di un unico grande controllore. Se tutti si possono controllare, viene disincentivato il ladro o il delinquente tra loro. I Bitcoin e le criptovalute sono solo alcune delle applicazioni che la blockchain rende possibili e che cambieranno il nostro mondo, come di fatto sta già accadendo». La fascinazione per il futuro e la trazione anteriore che ne consegue non deve far dimenticare il valore della memoria. «Essere stati è la condizione per essere» come ricorda il grande storico degli Annales, Fernand Braudel, la riflessione rispecchia molti passaggi interessanti del saggio, a partire dal delicato rapporto che si sta instaurando tra la moneta virtuale, esaltata da molti analisti e osservatori, e la moneta reale, che sta riprendendosi il suo spazio; basti prendere in esame progetti come quello che sta portando avanti Paolo Pampaloni che sta coinvolgendo un fitto tessuto di PMI. Non bisogna pensare che siano fenomeni in controtendenza, perché esprimono la necessità di ritrovare un appiglio etico nella pratica degli scambi, ridando valore delle relazioni interpersonali, al rispetto delle persone che vengono prima di qualsiasi oggetto, fosse anche in assoluto il più prezioso. Relazione, per usare il linguaggio hegeliano, che deve farsi prassi inverandosi nella storia per assumere le sembianze dell’innovazione dirompente.
Abbiamo creato la moneta per comodità ma anche perché non ci fidavamo più delle persone, ed è lì che abbiamo fallito
Su questo fronte, teoretico e pratico insieme, il nostro interlocutore mostra di avere le idee chiare, sollevando inquietanti interrogativi: «L’uomo è molto più vecchio della moneta e oltre 10.000 anni fa non ne avevamo neanche bisogno, ci basavamo sull’Economia del dono e poi sul baratto; anche civiltà evolute come gli Antichi Egizi non avevano bisogno della moneta e questo va sottolineato. Abbiamo dovuto creare la moneta per comodità ma anche perché non ci fidavamo più delle persone, ed è lì che abbiamo fallito. Se smettiamo di fidarci delle persone, subiremo il potere degli strumenti. Il mondo che stiamo costruendo dovrà seguire nuove regole, se non siamo in grado di scriverle allora creeremo nuovi ricchi senza regole che finiranno per non riconoscere nessun orizzonte regolatorio, con le conseguenze del caso. Facciamo l’esempio di Elon Musk: se arrivasse su Marte e decidesse di costruire la sua civiltà? Chi potrebbe contrastarlo? Si arriverebbe a una guerra interplanetaria tra un governo mondiale riconosciuto e un ricco privato che si auto-proclama proprietario di un nuovo mondo? La massa chi seguirà?». Trovare risposte appare impossibile mentre siamo nel guado di una trasformazione che investe la mentalità e la cultura, quindi il tessuto antropologico e la struttura profonda della civiltà cui apparteniamo. Una cosa appare evidente: la rivoluzione digitale imporrà un aggiornamento continuo delle competenze. Nel saggio Comandini sottolinea a più riprese la necessità di aggiornare i saperi per far crescere nella collettività la giusta sensibilità per affrontare le fenomenologie del cambiamento, nei diversi àmbiti in cui si manifestano. Servirà anche l’intervento dello Stato, altro aspetto importante sostenuto nella trattazione. I fondi pubblici andranno finalizzati a formare e alfabetizzare vecchie e nuove generazioni, in modo da colmare la domanda di figure professionali emergenti. La Tv, la scuola, la politica devono affrontare i grandi temi della trasformazione epocale entro cui tutti siamo immersi. «Dovremmo mettere – conclude Comandini – la stessa attenzione e premura che riserviamo all’effettivo raggiungimento della parità di genere, al rispetto di tutte le religioni, alla libertà di espressione, alla salvaguardia dell’ambiente. Educare al futuro si configura come un imperativo categorico, che richiederà determinazione, consapevolezza, competenza, perché l’alternativa vuol dire estinzione della specie umana, riflettiamoci seriamente una volta per tutte…».