La nuova proposta Ue di direttiva sul bilancio di sostenibilità “Corporate Sustainability Reporting Directive”

Ue

ESG è l’acronimo di “Environment, Social and Governance” ed è ormai diventata la sigla più diffusa per indicare le strategie e le attività che le imprese, e in generale le organizzazioni, dovrebbero implementare per poter sostenere un percorso di convergenza agli obiettivi indicati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e gli indicatori individuati in quel consesso: gli SDG, o Sustainable Development Goals.

Le imprese e la rendicontazione dello sviluppo sostenibile

È di fondamentale importanza sottolineare che non si tratta unicamente di obiettivi che riguardano l’uso dell’ambiente, ma che riflettono un più generale obiettivo di sostenibilità, il quale include l’impatto sociale degli operatori economici (Social) e il modo in cui essi operano. In altre parole, gli aspetti etici e di trasparenza delle azioni di governo intraprese (Governance). Spesso, infatti, questi ultimi due aspetti sono sottovalutati rispetto al primo.

La creazione del valore si sta spostando verso un modello basato su competenze e conoscenza

Nelle economie più evolute, la trasformazione in corso e la transizione digitale hanno modificato in modo sostanziale le strutture dell’attivo. Nel 1975 la componente intangibile delle aziende quotate in borsa era inferiore al 20% ed esprimeva un sistema basato fortemente sulla manifattura, mentre nel 2015 rappresenta oltre l’80%. In altre parole, la creazione del valore si sta spostando verso un modello basato sulle competenze e sulla conoscenza, un sistema che, quindi, richiede sempre più di rilevare e monitorare oltre all’aspetto ambientale (E) anche quello sociale (S) e di governance (G). Lo sviluppo del modello ESG e la ricezione da parte del mondo finanziario e della società in genere in molti paesi ha posto il problema della regolamentazione e soprattutto della rendicontazione al fine di rendere pubbliche le strategie ed il livello di raggiungimento degli obiettivi da parte delle singole imprese, ma anche dal sistema economico aggregato.

I limiti della Direttiva Ue 2014

All’interno dell’Unione europea il dibattito sulle tematiche della trasparenza è senza dubbio ormai maturo ed esistono già regolamentazioni sulla rendicontazione non finanziaria che le aziende sono tenute ad applicare per essere in regola con gli obiettivi generali di sostenibilità. Attualmente, la direttiva in vigore è del 2014 (2014/95/EU) attuata con il decreto 254/16.
La direttiva, pur cogliendo gli aspetti importanti della rendicontazione non finanziaria, ne limitava l’applicazione ad un insieme ristretto di operatori che riteneva di maggior interesse pubblico. In particolare, erano soggette le grandi imprese (con più di 500 addetti o ricavi superiori a 40 milioni di euro), gli intermediari finanziari, le assicurazioni e tutte le aziende con titoli quotati in mercati finanziari di almeno uno Stato membro. La direttiva, pur stabilendo l’obbligatorietà della rendicontazione, non indicava quali fossero gli standard e le metriche da adottare, limitandosi ad elencare quelli più noti a livello internazionale. Un altro aspetto di importanza fondamentale è che non erano indicate sanzioni specifiche in caso di non compliance con la direttiva.

Questo approccio, pur avendo il merito indiscusso di introdurre la problematica nelle aziende e, quindi, di iniziare a creare un dibattitto e delle competenze, scontava alcuni limiti importanti: da un lato, chi voleva analizzare la strategia ESG intrapresa dalle aziende che implementavano la rendicontazioni non era in grado di effettuare comparazioni tra imprese; inoltre, non essendo definite metriche e indicatori non era possibile effettuare un monitoraggio effettivo degli impatti delle strategie, rendendo di difficile valutazione tutta la rendicontazione. Dall’altro, anche per chi elaborava la rendicontazione era difficile costruire un report che rispondesse alle richieste degli investitori e si trovava spesso a dover effettuare integrazioni ad hoc per garantire l’informativa richiesta. Quindi, da un lato il sistema non permetteva di modellizzare il rischio ESG, mentre dall’altro, prometteva elevati costi di redazione ed organizzativi.

La nuova proposta di Direttiva Ue 2021

L’aumento del focus sulla sostenibilità e la crescente integrazione dei parametri ESG nella strategia di misurazione del valore ha velocemente modificato il quadro di riferimento, promuovendo un nuovo modello di regolamentazione presentato a fine aprile 2021 nella proposta di direttiva denominata “Corporate Sustainability Reporting Directive”.

Rispetto alla regolamentazione del 2014 la nuova direttiva amplia in modo sostanziale il suo àmbito di applicazione. Infatti, oltre ai soggetti che erano già obbligati a redigere una rendicontazione non finanziaria, include tutte le imprese non Ue che hanno però titoli quotati in un mercato finanziario dell’Unione, tutte le Pmi quotate a prescindere dalla loro dimensione ed introduce sia argomenti sia standard e metriche per la rendicontazione.

La nuova proposta include tutte le imprese non Ue che hanno titoli quotati in un mercato finanziario dell’Unione

L’introduzione di standard e princìpi specifici con cui redigere la rendicontazione permette una più rapida attività di comparazione tra le diverse imprese, oltre a dare la possibilità di stabilire e misurare i livelli di raggiungimento dei singoli obiettivi ESG e, quindi, la convergenza verso l’Agenda 2030 dell’intero sistema economico. Un altro aspetto fondamentale introdotto dalla nuova normativa è la necessità di rendicontare non solo sulle attività svolte, ma anche e soprattutto sulla strategia e sugli obiettivi che le imprese di pongono e, di conseguenza, anche la possibilità da parte dei governi di fissare degli obiettivi e di definire delle tempistiche per acquisirli.

Il sistema della Tassonomia europea, ad esempio, individua sei obiettivi ambientali e climatici: mitigazione del cambiamento climatico; adattamento al cambiamento climatico; uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine; transizione verso l’economia circolare, con riferimento anche a riduzione e riciclo dei rifiuti; prevenzione e controllo dell’inquinamento; protezione della biodiversità e della salute degli ecosistemi.

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La strategia e le azioni delle imprese affinché possano essere definite eco-compatibili dovranno soddisfare i seguenti criteri:

  • contribuire positivamente ad almeno uno dei sei obiettivi ambientali; 
  • non produrre impatti negativi su nessun altro obiettivo;
  • essere svolta nel rispetto di garanzie sociali minime (per esempio, quelle previste dalle linee guida dell’Ocse e dai documenti delle Nazioni Unite).

L’attenzione posta dall’Ue alla transizione verde sta già manifestando effetti in àmbito economico

Il segnale del cambiamento è implicito anche nelle tempistiche che la Commissione si è data per l’approvazione della nuova direttiva. Infatti, se i tempi verranno rispettati, sarà approvata già nel secondo quadrimestre del 2022; per ottobre 2022 saranno approvati gli standard di rendicontazione per le grandi imprese, mentre un anno dopo per le SMI; l’obbligo di rendicontazione scatterà per tutti dal 2024, quindi sull’anno fiscale del 2023. Per raggiungere questo obiettivo con un percorso graduale, le aziende, già dal 2022, dovranno iniziare ad implementare un modello di rilevazione ed acquisizione delle informazioni rilevanti, oltre ad effettuare una prima valutazione del loro sistema “as-is” per poter definire una strategia di implementazione intorno agli obiettivi rilevanti.

L’attenzione posta dal mondo finanziario, sociale e politico alla transizione verde sta già manifestando alcuni effetti in àmbito economico: da un lato, infatti, l’EBA (European Banking Association) in un suo documento ha indicato agli associati la necessità di rendicontare la sostenibilità dei loro impieghi e, quindi, delle imprese che sono finanziate; dall’altro, le grandi imprese che già sono obbligate a produrre una rendicontazione non finanziaria stanno chiedendo a tutta la loro filiera di fornitura di rendicontare sugli indicatori che permettano di certificare la sostenibilità del loro prodotto finale. La portata di questi comportamenti produrrà probabilmente uno spillover della regolamentazione, estendendola a tutti gli operatori economici anche se non esplicitamente inclusi tra quelli obbligati alla rendicontazione indicati nella direttiva, dando inizio ad un processo di cambiamento del sistema nel suo complesso.

*Fabrizio Zucca, componente del Comitato Scientifico dell’Eurispes.

 

 

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