La rivoluzione della mobilità è una di quelle che più hanno trasformato il mondo dopo il crollo del Muro di Berlino del 1989, accompagnando i processi di crescita civile, politica ed economica di cui l’Unione europea è una delle massime espressioni. L’Unione europea nasce infatti da una radicale idea di pace e di unione tra i popoli europei attraverso un sistema politico, sociale ed economico sempre aperto che prevede accoglienza – non a caso sancita a chiare lettere nella Carta della Costituzione europea – nel rigoroso rispetto della diversità delle culture politiche democratiche e delle tradizioni di convivenza. Il diritto di asilo è garantito dall’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, mentre l’articolo 19 vieta le espulsioni collettive e protegge gli individui dall’allontanamento, dall’espulsione o dall’estradizione verso uno Stato in cui esiste un grave rischio di pena di morte, tortura, altre pene e trattamenti disumani o degradanti.
Il diritto di asilo nell’era delle migrazioni
È una espressione di civiltà che deriva dalle esperienze maturate in seguito alla presa di coscienza di ciò che sono stati il fascismo e il nazismo e che ha portato alla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, alla Costituzione italiana del 1948, e in particolare al suo art. 35, e al Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966. Princìpi fondamentali che proprio oggi ‒ in quella che è stata definita “l’era delle migrazioni” ‒ sono di centrale importanza, considerando che ci sono nel mondo circa 281 milioni di migranti. Significa che circa 1 persona ogni 30 degli 8 miliardi di abitanti della Terra si trova in un paese diverso da quello di origine. Tra queste, ci sono milioni di persone che hanno cognomi italiani e che hanno contribuito, dentro un sistema che spesso li ha discriminati, a dare lustro e futuro a paesi come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, l’Argentina ma anche Francia, Germania, Belgio, Inghilterra. Molti nostri giovani connazionali, per scelta o obbligati dall’assenza di lavoro e opportunità, ancora oggi sono costretti ad andare all’estero irrobustendo altre economie e sistemi sociali, a discapito dell’Italia e del suo futuro. Il lavoro continua, infatti, a essere la radice fondamentale delle tensioni sociali e ipoteca soprattutto per le giovani generazioni, nel momento in cui esso è “precario per sempre”.
Insieme ai migranti per lavoro ci sono i migranti forzati, compresi gli sfollati interni e i rifugiati
Non si deve dimenticare che, dei 281 milioni di migranti nel mondo, 169 milioni sono lavoratori, ossia persone che cercano un lavoro per vivere e costruire un futuro per sé e la propria famiglia. I migranti che fuggono da guerre e pestilenze sono in realtà “una minoranza di una minoranza” e non certo una minaccia che mette in pericolo la democrazia europea e la sua identità. Il lavoro regolare o meno, peraltro, non dipende dalla volontà degli immigrati ma dall’organizzazione che essi trovano nel mercato del lavoro nel paese di accoglienza, regolamentato troppo spesso da un’ambigua relazione tra norme formali e informali, da modalità di reclutamento spesso illegali, da sistemi criminali come il caporalato che sono già ben presenti e radicati in Europa e non certo fenomeno criminale importato. Insieme ai migranti per lavoro ci sono poi i migranti forzati, compresi gli sfollati interni e i rifugiati. Sono più di 15 milioni di ucraini, spesso donne e minori, che hanno trovato in Europa accoglienza e protezione. Un’accoglienza straordinariamente calorosa di cui andare fieri, che però non è stata offerta a tutti coloro che hanno bussato alle nostre porte per chiedere aiuto e protezione; insomma, una solidarietà differenziata. Sono infatti migliaia i profughi provenienti dal Sud del mondo di cui purtroppo non conosceremo mai il nome e la storia perché morti durante il viaggio della speranza. Tra i luoghi più difficili da attraversare c’è il Mediterraneo che, da ponte che lega le culture, è divenuto un cimitero: sono almeno venticinquemila i morti nel Mediterraneo dal 2014 a oggi. Per fronteggiare questa emergenza, dobbiamo anche essere consapevoli di un dato che contraddice diffusi allarmismi: di coloro che partono da Africa, Asia e Sud America per mettersi in salvo, arriva in Europa appena il 15%. Il restante 85% resta in Stati prossimi a quello di origine.
Una riforma del sistema di accoglienza può trasformare le migrazioni da tragedia annunciata ad opportunità
Già nel 2003 abbiamo avuto modo di esprimere il nostro pensiero sulla questione immigrazione. All’epoca, l’Eurispes sostenne la necessità di liberalizzare gli ingressi degli immigrati invitando il Governo a riceverli nei porti di giorno e non sulle spiagge di notte. Oggi, a vent’anni dall’entrata in vigore della “legge Bossi-Fini”, dobbiamo prendere finalmente atto che la legge va cambiata. Un provvedimento del genere avrebbe l’immediato effetto di impoverire le organizzazioni criminali che spesso creano un vero e proprio “bisogno indotto” di emigrare verso l’Italia. Un accesso ben regolato e alla luce del sole provocherebbe una caduta della domanda di immigrazione, almeno per quanto riguarda la componente indotta, ma non solo. Ci costringerebbe, finalmente, a mettere mano ad una riforma profonda del sistema di accoglienza, trasformando l’arrivo degli stranieri nel nostro Paese da tragedia annunciata ad opportunità.
Di fronte alle migrazioni l’Europa deve sforzarsi di non essere più “la più grande comunità recintata del mondo”
Siamo un Paese che da anni sta cambiando la sua demografia e organizzazione sociale e questo costituisce sintomo di progresso e non di pericolo, essendo così che cresce ed evolve l’umanità. Per uscire da un dibattito che rischia di distorcere la realtà, l’Europa deve sforzarsi di non essere più “la più grande comunità recintata del mondo”, protetta da accordi internazionali, barriere, attività militari e muri artificiali contro i migranti, considerando che essa rappresenta appena il 17,3% della popolazione planetaria, ma deve saper realizzare il sogno che fu di De Gasperi, Spinelli, Churchill, Schuman, Monnet e di tutti coloro che miravano a fare del Vecchio Continente il luogo della libertà, della democrazia e dell’uguaglianza, valori fondati sul rispetto della dignità umana, dei diritti umani e dello Stato di diritto, della solidarietà e protezione per tutti, nessuno escluso. L’Italia può essere capofila in Europa in questo percorso a partire dalla propria tradizione storicamente aperta, come espressione di incontro. L’immigrazione non può essere chiusa fuori da noi, essendo noi stessi espressione di una mobilità interna e internazionale che costituisce la nostra identità.
*Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes.