Sono freelance o impiegati che scelgono di lavorare da remoto senza vincoli di spazio: si chiamano “nomadi digitali”, e ne abbiamo sentito parlare con maggiore frequenza dalla pandemia in poi. Il fenomeno del nomadismo digitale costituisce il risultato di un processo di trasformazione tecnologica in atto da tempo, ma sicuramente questa deriva è stato accelerata dalla pandemia.
Il lavoro ibrido al tempo della Great Resignation
A livello globale è oggi in corso un processo di evoluzione delle dinamiche lavorative, dovuto a cambiamenti strutturali, tecnologici e sociali resi ancora più profondi dalla crisi pandemica. Secondo le previsioni di AT&T, mentre il lavoro totalmente da remoto dovrebbe subire un importante calo dal 2021 al 2024 (dal 56% al 19%), il lavoro ibrido conoscerà una crescita del +39%. Lo shock pandemico, nel suo complesso, non ha solo reso necessaria una riorganizzazione delle attività lavorative, ma ha anche ristrutturato la scala delle priorità e dei valori dei lavoratori. La necessità di vivere ampiamente il proprio tempo di vita, di dare qualità alle giornate oltre al lavoro, sono ormai diventati aspetti prioritari per milioni di lavoratori nel mondo, così come sottolineato anche nell’approfondiemento dedicato al nomadismo digitale pubblicato nel Rapporto Italia 2023 dell’Eurispes. Secondo i dati del Work Index Trend di Microsoft, uno studio condotto nel 2022 in 31 paesi tra cui l’Italia, il 53% dei lavoratori è disposto ad anteporre la propria salute e il proprio benessere al lavoro. L’ ultimo Work Index Trend, del 2023, ha invece preso in esame le ricadute dell’IA sul mondo del lavoro, evidenziando anche in questo caso l’attenzione verso le condizioni e i carichi di lavoro. I timori verso l’IA contano meno del benessere al lavoro: se il 42% degli Italiani dichiara di temere che l’AI sostituisca il proprio lavoro, il 62% afferma di voler delegare più lavoro possibile all’AI per ridurre il proprio carico. Inoltre, i dati del report dimostrano che in Italia il 27% dei leader aziendali sarebbe disposto ad utilizzare gli strumenti di AI per supportare la propria forza lavoro, invece di sostituirla.
Il 52% dei nomadi digitali si definisce dipendente o collaboratore di aziende, mentre il 38% svolge un lavoro autonomo
Lo shock pandemico ha anche dato luogo al fenomeno della “paranoia della produttività”: un aumento esponenziale di produttività da parte dei lavoratori, in risposta alla sempre maggior insicurezza dei manager riguardo alla produttività dei loro dipendenti. Secondo il Work Index Trend di Microsoft, i dipendenti dichiarano per l’87% di essere produttivi a lavoro, mentre l’85% dei manager sostiene come il passaggio al lavoro ibrido abbia reso difficile appurare la produttività dei dipendenti. Anche per questo, nel 2022, il numero di riunioni settimanali è aumentata del 252% a livello globale rispetto all’inizio della pandemia. La paranoia della produttività si scontra dunque con le nuove consapevolezze dei lavoratori. Intanto la Great Resignation è sempre più orientata verso il Great Reshuffle – una tendenza economica in cui milioni di professionisti hanno lasciato il lavoro a partire dalla primavera del 2021 in cerca di carriere più appaganti e in linea con i propri obiettivi e valori. Ciò, in forza del fatto che il 37% dei lavoratori (il 49% dei Gen Z e dei Millennial) dichiara la volontà di prendere in considerazione un nuovo impiego nel prossimo anno. Per quanto riguarda la Great Resignation, alcuni dati affermano che sia un movimento sul viale del tramonto: negli Stati Uniti il numero di persone che ha lasciato il proprio lavoro è ritornato ai livelli pre-covid, presagendo forse una controtendenza che si estenderà oltre i confini nordamericani.
Chi sono i nomadi digitali in Italia
Gran parte dei remote worker, sebbene contempli la possibilità di viaggiare e lavorare da un’altra località, ha una casa da cui lavora per la maggior parte del tempo. Stando ai dati del “Secondo Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia”, promosso dall’Associazione Italiana Nomadi Digitali e da Airbnb, i protagonisti del fenomeno del nomadismo digitale in Italia sono lavoratori (35%) tra i 35 e i 44 anni; a seguire giovani tra i 25 e i 34 anni, mentre è minore la percentuale di nomadi digitali over 45 (15%), con meno di 24 anni (10%) o over 55 (5%). I dati su base globale raccolti da MBO Partners confermano uno sbilanciamento dei nomadi digitali a verso la generazione Millennial (44%), immediatamente seguiti dai Gen X (23%) e dai Gen Z (21%). La distribuzione per genere nel nostro Paese mostra uno sbilanciamento per le donne (54% contro il 45% di uomini), in opposizione alle tendenze globali, dove più uomini (59%) scelgono di diventare nomadi digitali rispetto alle donne (41%). Il 52% dei nomadi digitali si definisce dipendente o collaboratore di aziende, mentre il 38% svolge un lavoro autonomo. In Italia appartengono a settori caratterizzati da alto valore aggiunto, come quello della comunicazione e del marketing (27%), della formazione (14%) e dell’informatica (13%). Su base globale, i nomadi digitali dichiarano di avere competenze tecnologiche elevate, il 77% utilizza la tecnologia per essere più competitivo nel proprio lavoro, contro il 41% di coloro che non sono nomadi digitali.
Il 36% dei lavoratori autonomi in tutta Europa lavora abitualmente da remoto
Dai dati emersi nel “Terzo Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia”, incentrato sulle ricadute positive del nomadismo in termini di sostenibilità e appetibilità di aree rurali italiane, scaturiscono ulteriori informazioni aggiuntive sui nomadi digitali. Innanzitutto, il 36% dei lavoratori autonomi in tutta Europa lavora abitualmente da remoto (Eurofound). Per quanto riguarda il nostro Paese, stima che nel 2024 in Italia i lavoratori da remoto saranno 3,65 milioni, e che il 14% dei lavoratori che già lavora da remoto ha deciso di cambiare casa, preferendo spesso zone periferiche o piccole città, alla ricerca di uno stile di vita diverso (Osservatorio Smart Working).
L’Italia è una destinazione attraente per i remote workers
Nella scelta di una destinazione per lavorare da remoto, le variabili discriminanti risultano essere una buona connessione a Internet, il bel tempo, il basso costo della vita, un visto facile da ottenere e le attrazioni locali. Tra le migliori destinazioni per i lunghi soggiorni: Indonesia, Messico, Tailandia, Spagna, Colombia, Portogallo; per i brevi soggiorni, invece: Francia, Brasile, Islanda, Costa Rica e Nuova Zelanda. I remote worker italiani e stranieri intervistati nel “Secondo Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia” hanno dichiarato di essere interessanti a vivere la propria esperienza di nomadismo digitale in Italia (93%). Ad attrarli sono soprattutto il Sud (25%) e le Isole (18%), presso località balneari (61%) o a stretto contatto con la natura (41%), nelle città d’arte (39%), mentre risultano meno attrattive le località di montagna (22%) e quelle di collina o entroterra (12%). A influenzare la scelta finale della destinazione intervengono, anche in Italia, la qualità della connessione Internet (65%), il costo della vita (61%), le attività culturali (40%). Non costituisce un elemento influente nella scelta la stagione, il 42% dei nomadi digitali viaggerebbe in Italia durante tutto l’anno, confermando la significativa opportunità di questo fenomeno nella destagionalizzazione dei flussi turistici.
Nomadi digitali in Italia, favorire contratti di locazione temporanea e una normativa ad hoc
Come emerso anche nel “Terzo Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia”, il nostro Paese risulta essere una méta appetibile per i nomadi digitali per condizioni climatiche, caratteristiche paesaggistiche e demografiche, ricchezza culturale e artistica. In particolare l’Italia si candida come méta dei nomadi digitali nelle molte aree interne e rurali a rischio di spopolamento, piccoli comuni e borghi, che troverebbero nel nomadismo digitale una chiave di crescita economica, culturale, nonché possibilità di miglioramento nella fornitura di servizi e connettività a Internet, come conseguenza. Ciò si scontra, come sottolinea il Rapporto, con una serie di mancanze a livello normativo, in grado, ad esempio, di favorire contratti di locazione temporanea, oltre alla necessità impellente di istituire in Italia un “Digital Nomad Visa” per attrarre e accogliere professionisti stranieri – principalmente provenienti da paesi non comunitari. Emerge, insomma, l’esigenza di istituire nel nostro Paese la figura del “Residente Temporaneo di Comunità”, con tutte gli snellimenti burocratici del caso. Si tratterebbe di una svolta normativa in grado di aprire orizzonti di crescita e miglioramento a numerosi borghi e cittadine italiane che oggi rischiano di scomparire.