Il Pakistan è un paese estremamente interessante nella geografia globale delle migrazioni, con riferimento al particolare contesto politico che lo caratterizza. La regione in cui esso è collocato, secondo le stime dell’UNHCR, conta circa 3 milioni e mezzo di rifugiati che vivono in condizioni di povertà estrema. Significa che non hanno la possibilità di un pasto adeguato al giorno, di muoversi liberamente, di vivere un dignitoso progetto di vita per sé e la propria famiglia, adeguato alle proprie aspettative. In Pakistan i rifugiati censiti erano 1,3 milioni nell’agosto del 2023 ma questo numero sta rapidamente aumentando per via di una crisi politica che rischia di innescare non solo una riorganizzazione autoritaria del regime ma anche conseguenze, in termini di flussi migratori in uscita che inevitabilmente riguarderanno anche l’Europa, con possibili nuove tensioni internazionali, l’affermarsi di movimenti terroristici e rivolte popolari. Basti considerare la vicinanza del Pakistan all’Afghanistan, la cui riconquista del potere da parte dei Talebani ha prodotto uno dei regimi più violenti e repressivi nei confronti della popolazione locale, in particolare femminile, con conseguente flusso di profughi in fuga.
In Pakistan circa 3 milioni e mezzo di rifugiati vivono in condizioni di povertà estrema
La situazione, già preoccupante al termine del 2022, ha raggiunto livelli che rendono problematica l’accoglienza. Anche a causa della scarsità di risorse economiche, il governo centrale di Islamabad ha iniziato rimpatri forzosi dei profughi afghani, con violazioni di diritti umani che continuano ad essere perpetrati impunemente. Sono state, ad esempio, costruite varie strutture per il trattenimento forzato e il successivo rimpatrio dei profughi afghani mediante espulsione immediata dal territorio nazionale imposta dal governo di Islamabad. Ciò si unisce alle condizioni politiche di un regime caratterizzato dall’estremismo islamico e da manifestazioni di intolleranza religiosa che possono farlo esplodere da un momento all’altro, generando un’ulteriore crisi umanitaria in una regione assai complessa, obbligando la comunità internazionale a diversificare ulteriormente i propri sforzi diplomatici e di intervento umanitario, se non addirittura militare, dopo le crisi e le guerre in corso in Ucraina e in Palestina.
Un regime caratterizzato dall’estremismo islamico e da manifestazioni di intolleranza religiosa
Non si tratta di considerazioni e riflessioni circoscritte a un paese lontano e considerato, a torto, periferico nel panorama mondiale. Parliamo, infatti, del quinto paese per popolazione al mondo con ormai oltre 232 milioni di persone residenti e unica potenza nucleare di un paese governato da musulmani, con forti tensioni interne e la presenza stabile di gruppi e movimenti terroristici. Ciò colloca necessariamente il Pakistan al centro delle riflessioni dei principali think tank mondiali e dei governi di molti paesi occidentali.
Il Pakistan è il quinto paese per popolazione al mondo ed una potenza nucleare
Non si deve neanche trascurare la condizione economica e sociale del paese, che ha una inflazione del 30% e un’economica sostanzialmente in crisi. La sua crescita in termini di Pil è infatti crollata dal 6,1% allo 0,3% nel giro di un anno. Nel settore industriale e in quello dei servizi, le imprese stanno licenziando in massa quote crescenti di operai, aumentando enormemente la disoccupazione in un paese privo di welfare. La fame e la povertà sembrano aumentare considerevolmente, le donne vivono condizioni di crescente pressione e violenza, l’ambiente è gravemente deturpato. A maggio scorso, ad esempio, l’ex primo ministro Imran Khan, già campione di cricket poi entrato in politica, è stato fermato a Islamabad con l’accusa di corruzione. La risposta immediata sono stati tumulti nelle principali piazze delle grandi città pakistane a sostegno del loro ex leader e contro l’azione della polizia accusata di voler instaurare un regime militare. Non si è trattato però solo di una reazione popolare circoscritta. Nella regione pakistana del Punjab, ad esempio, luogo di reclutamento prevalente dell’esercito, i sostenitori di Khan hanno attaccato il quartier generale dei militari, mentre a Lahore hanno preso di mira la residenza del Corps Commander sino ad incendiarla.
Le imprese stanno licenziando in massa, aumentando la disoccupazione in un paese privo di welfare
La novità in questa vicenda sta nell’attacco diretto operato da una parte della popolazione nei confronti dell’esercito. Mai prima di questi fatti, la popolazione pakistana aveva agito contro i militari, considerati il vero pilastro del potere e dunque unico argine alla deflagrazione definitiva dello Stato. È opportuno ricordare che, dopo la destituzione Ali Bhutto da parte del Generale Zia-Ul-Haq, nel 1977, sono state numerose le personalità che hanno cercato, forti del consenso popolare, di riformare l’apparato statale e in particolare quello militare, spesso oscillando tra alleanze dirette con gli Stati Uniti e la Cina. Nessuno però è riuscito nel proprio intento. Anzi, spesso, il crollo di questi leader politici è stato piuttosto fragoroso, al punto da finire in alcuni casi in carcere per via delle strategie e operazioni messe in campo proprio dai militari. Khan non fa eccezione. La sua volontà di cambiare i vertici militari, in particolare dei potentissimi servizi segreti pakistani, con generali a lui vicini, ne hanno di fatto determinato la destituzione e infine la reclusione, con la conseguente impossibilità di ricandidarsi. La risposta è stata addirittura ancor più restauratrice di ciò che si poteva immaginare. Con l’emanazione del Pakistan army act del 1952, approvato il 27 luglio del 2023, si prevede addirittura una pena detentiva di cinque anni per chiunque divulghi informazioni in grado di danneggiare le forze armate, con una misura repressiva e censoria, in grado di aggredire il diritto di critica della stampa e di ogni eventuale oppositore.
Nei primi sei mesi del 2023 oltre 800.000 pakistani sono fuggiti dal loro paese di origine
In questa polveriera basterebbe un errore da parte dell’esercito per generare rivolte inarrestabili e forse un bagno di sangue senza precedenti. Per ora una valvola di sfogo importante da parte della popolazione pakistana è rappresentata dalla fuga all’estero: nei primi sei mesi dell’anno, ad esempio, oltre 800.000 pakistani sono fuggiti dal loro paese di origine. Molti di questi avevano come obiettivo l’Europa. Non a caso a giugno del 2023, al largo della Grecia, tra le centinaia di vittime del naufragio di un’imbarcazione da pesca che trasportava profughi, quasi trecento erano pakistani. Le notizie di queste tragedie tornano sistematicamente in Pakistan e spesso in forma amplificata. Potrebbe forse essere questa una delle scintille capace di dare fuoco alla rivolta popolare? E nel caso che cosa sarà delle centrali nucleari e delle relative armi di distruzione?
*Marco Omizzolo, sociologo e ricercatore dell’Eurispes.