Con l’introduzione dell’assegno unico nasce uno strumento unico di sostegno economico, corrisposto a tutte le famiglie con figli a carico.
A guadagnare rispetto alla precedente situazione saranno i lavoratori autonomi e le partite Iva, che oggi non percepiscono gli assegni familiari, ma solo detrazioni per i figli a carico, che partono da 80 euro al mese a figlio (101 per i minori di 3 anni) e decrescono fino ad azzerarsi a 95mila euro di reddito. Anche gli incapienti ci guadagneranno, perché, non pagando tasse in virtù dei redditi bassi, non riuscivano di fatto oggi a godere delle detrazioni.
Andrà meglio poi anche per la maggioranza dei lavoratori dipendenti, considerato che oggi sia gli assegni che le detrazioni decrescono rapidamente dopo i 20mila euro di reddito familiare.
A rischio, invece, sono i lavoratori dipendenti e i pensionati con redditi familiari bassi, attorno ai 15.000 euro l’anno: in questa fascia, infatti, si arriva a prendere il massimo delle detrazioni e il massimo degli assegni per il nucleo familiare, fino a circa 250 euro a figlio al mese. Soprattutto a loro sarà destinata la clausola di salvaguardia.
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Il progetto di un assegno unico universale è comunque parte di una riforma strutturale.
La tenuta economica delle famiglie italiane dipende peraltro anche dalla divisione fra famiglie bireddito e monoreddito, essendo queste ultime più esposte alle incertezze dell’economia reale.
L’assegno unico universale non distingue però queste due tipologie di famiglie, laddove, perché ciò avvenga, sarebbe necessario che tale misura fosse legata ad una riforma fiscale più generale, che metta al centro il reddito familiare.
L’assegno universale può dunque rappresentare un primo, importante, passo verso una concreta politica di equità fiscale. Tale innovativa introduzione dovrebbe però legarsi ad una riforma complessiva della fiscalità della famiglia, che introduca magari, a sostegno dello stesso assegno, anche il quoziente familiare, passando dalla tassazione su base individuale a quello della tassazione per parti.
In tal senso, il primo esempio a cui fare riferimento resta quello del quoziente familiare francese, in cui le aliquote d’imposta si basano sul reddito familiare diviso per il numero di componenti, corretti per una scala di equivalenza. In questo modo ci si avvicinerebbe ad una maggiore equità orizzontale e la dichiarazione dei redditi potrebbe bilanciare anche la regressività delle imposte indirette sui consumi dei redditi familiari più bassi.
Le due misure, congiuntamente, potrebbe fungere anche da “bazooka” contro la denatalità.
Il Recovery Fund potrebbe prendere in considerazione una riforma di ampio respiro come questa.
*Giovambattista Palumbo, Direttore Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali.