Da 48 a 73 in 69 anni: è questo l’impressionante incremento dell’aspettativa di vita media a livello mondiale registrato dal 1950 al 2019. Una crescita che sancisce senza dubbio il successo degli sforzi compiuti nel miglioramento delle condizioni sanitarie, nello sviluppo della scienza e della tecnologia e nella crescita economica, ma che impone anche nuovi interrogativi e nuovi modi di pensare la vecchiaia. La longevità non sempre va di pari passo con una buona qualità della vita, quando il concetto di vecchiaia non si riduce all’età, ma viene analizzato secondo un approccio multidimensionale: salute, sostenibilità finanziaria, relazioni sociali, scopo e ruolo nella quotidianità, sono le nuove sfide che governi, imprese e società civile devono affrontare per non trovarsi impreparati al futuro degli anziani di oggi e di domani.
Vivere più a lungo, vivere meglio; un paradigma ormai imprescindibile per il mondo di oggi, ben evidenziato dal Word Economic Forum in un documento diffuso a giugno del 2023, nel quale la vecchiaia viene analizzata in tutte le sue sfaccettature, ponendo al centro il concetto di “alfabetizzazione della longevità”, intesa come una serie di politiche e di strategie volte a sostenere gli individui nella pianificazione di una vita lunga, resiliente e sostenibile. In Italia la pianificazione della longevità è un tema ancora più urgente che in altri paesi, essendo la nostra una delle popolazioni più vecchie al mondo. Nel Belpaese, ormai da tempo, l’aumento degli anziani non è compensato da un tasso di natalità adeguato; la nostra popolazione non solo è più vecchia, ma assiste ad un inquietante calo demografico. L’allarme, già lanciato dall’Istat sul futuro della popolazione italiana, diviene ancora più preoccupante se letto congiuntamente a quanto dicono i numeri riportati dall’INPS: la spesa pensionistica a carico dell’Istituto è pari al 16,3% del Pil e al 28,4% della spesa pubblica, mentre la spesa per il sostegno della genitorialità raggiunge solo lo 0,69% del Pil[1] . Nessun governo può chiudere gli occhi di fronte a questo tsunami che sembra pronto ad abbattersi sulla nostra società e, a livello legislativo, si parla ormai da tempo di promozione dell’invecchiamento attivo attraverso misure che contrastino le conseguenze negative di una popolazione sempre più anziana sugli standard di vita, sul welfare, l’occupazione, il sistema previdenziale e le finanze pubbliche.
Salute e benessere in vecchiaia
Il mantenimento di stili di vita sani è il pilastro fondamentale dell’alfabetizzazione della longevità. Non si può pensare alla vecchiaia solo come fase della vita in cui gli individui hanno prevalentemente bisogno di assistenza e cure; è necessario che i cittadini diventino i principali protagonisti del proprio benessere, progettando una vecchiaia sana fin dalla giovane età. Mantenere un elevato livello generale di salute della popolazione, non solo garantisce agli anziani la possibilità di vivere una vecchiaia attiva e piena, ma è vitale anche per lo sviluppo e la crescita economica della società. Questo obiettivo passa necessariamente dalla prevenzione e promozione della salute psicofisica durante tutta la vita della persona. La riduzione dei fattori di rischio, compresi quelli ambientali e quelli legati alle condizioni di lavoro associati a malattie croniche, politiche e campagne volte alla promozione di stili di vita sani a partire da dieta e da attività fisica, scoraggiando il consumo eccessivo di alcool e il fumo, gli screening precoci e la garanzia di servizi sanitari di qualità a prezzi accessibili, sono azioni dalle quali non si può prescindere pensando al futuro di una popolazione sempre più anziana. Adeguate politiche di sostegno dovrebbero essere implementate anche nei riguardi dei caregivers, sia da parte delle istituzioni attraverso il sostegno finanziario, sia delle aziende, prevedendo modalità di lavoro flessibili per queste categorie di lavoratori.
Sostenibilità finanziaria e invecchiamento della società
Nella maggior parte dei casi, fino ad alcuni anni fa, raggiungere il traguardo del pensionamento significava godere dei sacrifici di una vita di lavoro. Il sistema pensionistico era infatti in grado di garantire una certa stabilità economica anche una volta usciti dal mondo del lavoro. Per le nuove generazioni pensare alla pensione è invece spesso sinonimo di incertezza. L’invecchiamento della popolazione con la conseguente diminuzione del rapporto fra popolazione occupata e non occupata mette fortemente a rischio la sostenibilità finanziaria dei sistemi di previdenza sociale e dei regimi pensionistici. In Italia il sistema pensionistico, basato su un meccanismo a ripartizione in cui i contributi versati servono a pagare le pensioni di chi è uscito dal mercato del lavoro e non è previsto accumulo di riserve, sta già affrontando questa difficoltà poiché le entrate devono quantomeno essere pari alle uscite affinché il sistema resti in equilibrio. E le misure intraprese non sono indolori e senza conseguenze: aumento delle aliquote contributive, con il conseguente inasprimento del cuneo fiscale e incremento del costo del lavoro, revisione dell’ammontare delle pensioni passando dal sistema retributivo a quello contributivo e, infine allungamento dell’età pensionabile.
Per le donne è ampiamente riconosciuta la persistenza di un gender gap pensionistico
Appare evidente che la sostenibilità del regime previdenziale, volgendo lo sguardo anche all’equità intergenerazionale, passa necessariamente per politiche a lungo termine che sostengano lo sviluppo economico del Paese assicurando maggiori tassi di crescita di tutti gli indicatori economici. Una crescita organica che includa l’aumento dell’occupazione e della produttività, la stabilità dei prezzi, il miglioramento delle infrastrutture, la spesa per istruzione, formazione, ricerca e sviluppo. Nella pianificazione dello sviluppo economico occorre inoltre prestare particolare attenzione a tutte quelle situazioni di disagio sociale che già rappresentano un’emergenza e introdurre forme di tutela per alcune categorie che partono già in una condizione di svantaggio, come ad esempio le donne e l’esercito dei nuovi poveri. In particolare nei confronti delle donne è ampiamente riconosciuta la persistenza di un gender gap pensionistico frutto della maggiore fragilità che caratterizza le donne in tutta la vita lavorativa: retribuzioni più basse, part-time, interruzioni di carriera, impegno nel lavoro di cura, sono tutte condizioni che, unitamente alla maggiore longevità rispetto agli uomini, espongono le donne ad un maggior rischio di povertà in vecchiaia e a situazioni di esclusione e isolamento.
Mercato del lavoro, pensionamento e ruolo nella società
L’allungamento dell’aspettativa di vita, oltre a mettere sotto pressione il welfare, crea nuovi squilibri nel mercato del lavoro. Pur essendo riconosciuti i benefici del mantenimento di una vita attiva anche sotto il profilo lavorativo in età avanzata, essendo il lavoro una delle dimensioni chiave per una vita piena e di relazione, l’innalzamento dell’età pensionabile ha fatto sì che una fetta importante della popolazione occupata sia costituita da ultrasessantenni, il più delle volte costretti a rimanere attivi nel mercato del lavoro. L’effetto più perverso della permanenza forzata dei lavoratori anziani è quello della concorrenza fra generazioni: giovani e adulti sono in competizione con i più anziani sul medesimo mercato del lavoro, continuando ad attenderne la fuoriuscita per sperare di occuparne le posizioni. L’assenza del turnover diviene così il primo ostacolo alla solidarietà intergenerazionale che nell’ultimo secolo è stato uno dei pilastri sui quali si è retta la nostra società. Inoltre il progresso tecnologico che ha investito tutti i processi produttivi e la progressiva transizione verso un’economia più ecocompatibile, rendono le competenze dei lavoratori anziani spesso obsolete e difficilmente adattabili alle nuove sfide di sostenibilità ed efficienza che si sono aperte per gli anni a venire, facendo della vecchiaia una potenziale causa di rallentamento della crescita economica, in assenza di adeguati interventi di aggiornamento delle competenze. Il lavoro nella terza età, dunque, contribuisce senza dubbio ad alleggerire le spese pensionistiche e forse, anche quelle sanitarie, ma genera altri squilibri sui quali è necessario intervenire con urgenza.
L’assenza del turnover diviene il primo ostacolo alla solidarietà intergenerazionale
Pensare al mercato del lavoro in un’ottica di alfabetizzazione della longevità significa incoraggiare la formazione e l’aggiornamento continuo, come anche rendere gli ambienti di lavoro capaci di accogliere le esigenze di lavoratori sempre più maturi (ad es. part-time e altre forme di flessibilità, salubrità, ecc.); ma la partecipazione proficua degli anziani al mercato del lavoro non può prescindere dalla valorizzazione della solidarietà fra generazioni, favorendo l’accesso dei più giovani. Occorre innescare meccanismi virtuosi che vadano nella direzione di un mercato del lavoro equilibrato e soprattutto incentivino le nuove assunzioni. Il pensionamento di uno infatti non sempre è seguito dall’assunzione di un altro, come hanno evidenziato i dati diffusi dall’Inps relativamente agli effetti dell’introduzione di “Quota 100”: le uscite determinate da questa misura non si sono tradotte in un significativo aumento delle assunzioni come invece auspicato dal Governo all’epoca in carica (Lega-5 Stelle).
Alfabetizzazione della longevità significa incoraggiare la formazione e l’aggiornamento continuo
Ma dopo essere rimasti così a lungo attivi sul lavoro, cosa accade agli anziani quando raggiungono l’agognato traguardo della pensione? Il cambiamento è sostanziale in tutti gli ambiti della vita quotidiana. L’anziano si trova a dover rinegoziare il suo ruolo nella società a stravolgere i propri equilibri e abitudini e, nonostante le aspettative, il rischio di affrontare situazioni di isolamento e disagio è concreto. Secondo un sondaggio condotto da Mercer in collaborazione con il World Economic Forum, pensando alla vecchiaia la paura di rimanere soli è una delle principali preoccupazioni dopo la salute. In Italia, sebbene culturalmente alla terza età sia riconosciuto un ruolo fondamentale nella società, sono moltissime le situazioni di marginalizzazione, vissute soprattutto dalle fasce più deboli.
Ripensare la terza età in un’ottica di invecchiamento attivo
Vecchiaia attiva significa quindi anche mantenimento delle relazioni umane, dei contatti con amici e parenti e possibilità di ritagliarsi un nuovo ruolo all’interno della società. Una vita socialmente attiva è il pilastro di una vecchiaia felice e contribuisce al mantenimento della salute psico-fisica. La grande disponibilità di tempo che un anziano si trova improvvisamente a dover gestire rischia invece di trasformarsi in senso di inadeguatezza, depressione e frustrazione se non canalizzata verso nuovi interessi e attività. Il processo di alfabetizzazione della longevità richiede quindi anche la pianificazione di ciò che si vorrà essere e fare dopo il pensionamento, riconoscersi parte attiva della società attraverso il coinvolgimento in associazioni e attività di volontariato. Anche la tecnologia deve divenire strumento di inclusione e partecipazione, avviando percorsi di digitalizzazione della vecchiaia che consentano agli anziani di sfruttare al meglio le opportunità offerte dalla comunicazione digitale, dai Social Network e del Web in generale: messaggistica, videochiamate con parenti e amici, corsi on line, possibilità di leggere notizie e trovare informazioni, ma anche gestione di pratiche burocratiche, visite mediche ecc. Ripensare la terza età in un’ottica di invecchiamento attivo implica il superamento della visione dell’anziano-nonno, specialmente nella società italiana, dove le tendenze demografiche suggeriscono un futuro in cui un esercito di nonni si troverà senza altrettanti nipoti ai quali dedicare tempo e affetto.
[1] INPS, XX Rapporto annuale, luglio 2021, e Appendice statistica.