Che cosa significa, oggi, vivere la dimensione della precarietà

precarietà

Fragili, residuali, marginali. Sono tanti i termini per definire chi oggi vive la precarietà. Viverla, sperimentarla, e non, semplicemente, trovarsi in una condizione di precarietà. Appare, d’altronde, sempre più chiaro che la precarietà non è solo una condizione. In quanto tale, potrebbe cambiare, venire meno o crescere, a seconda dei fattori che l’hanno determinata. Si può, ad esempio, esercitare un lavoro precario, vivere un amore precario o trovarsi in un equilibrio precario. La precarietà è questo, ma anche altro, essendo diventata la dimensione in cui si trova a vivere l’uomo del nostro tempo. Più una dimensione, allora, che una condizione data o imposta. E ciò a prescindere dalla constatazione, saggia e scontata nel medesimo tempo, che la vita stessa è da sempre quanto di più precario possa esserci.

Il privilegio sospetto della precarietà

Per Helmuth Plessner, ad esempio, la precarietà sarebbe la caratteristica che meglio definisce il ruolo e l′azione dell’uomo che entra in un rapporto stretto con l’ambiente e con gli altri uomini. Sarebbe, quindi, un portato inestinguibile della natura umana, derivando dalla disposizione eccentrica dell’uomo stesso, che si distinguerebbe dagli altri esseri viventi perché è in grado di osservare il proprio centro dall’esterno, anche se la sua identificazione con questo non potrà mai essere totale. Il risultato, secondo Plessner, è la produzione di un’immagine in cui l’uomo figura come un essere capace tanto di trascendersi ininterrottamente quanto di celarsi agli altri e probabilmente anche a sé stesso. Per questa ragione, l’uomo sarebbe per costituzione costretto a vivere in un regime di precarietà, tanto che quella che Plessner chiama Verunsicherung (precarizzazione) sarebbe la caratteristica di fondo del suo modo di essere al mondo.

Mille e forse più sono le posture della precarietà

Quando oggi sentiamo parlare di precarietà non è propriamente quella suggerita da Plessner l’accezione con la quale la si intende. E non solo perché troppo tecnica e proveniente da un campo talvolta esageratamente specialistico come quello della filosofia. Gli esperti di questa disciplina hanno iniziato da tempi relativamente recenti a studiare le forme che tale fenomeno assume nella quotidianità, dopo avere atteso a lungo che ad occuparsene fossero soprattutto sociologi o specialisti delle scienze umane. Il fatto che a interrompere tra i primi questo ritardo sia stato in filosofia un sociologo come Bauman può esserne la prova. Precisato questo, l’assunto dal quale qualsiasi discorso sociologico o filosofico sulla precarietà deve prendere le mosse è l’alto e apparentemente incontenibile tasso di pervasività che fa di questa un fenomeno inedito. Si è precari quando si ama, ad esempio, come tristemente insegna Bauman in Amore liquido; viviamo all’insegna della precarietà le relazioni con l’altro, affidando ad approcci frettolosi e impersonali il galateo dell’animale sociale che ancora non si è del tutto estinto in noi; osserviamo, più rassegnati che preoccupati, la minacciosa precarietà degli assetti geopolitici del pianeta, lo stato perdurante di conflitti dimenticati e il continuo aumento dei processi migratori che vedono (ma, in realtà, sono meno visibili di quel che si crede) enormi e formicolanti masse di esseri umani tentare di farsi spazio in un mondo che fortifica e rende più impenetrabili le sue barriere interne. Mille e forse più sono le posture e le espressioni che la precarietà può assumere, e altrettante le rappresentazioni che se ne possono, quindi, dare.

Desiderio di comunità

Abbiamo fatta nostra la definizione plessneriana di precarietà, ma questa potrebbe non essere di grande aiuto per comprendere oggi gli effetti della crisi pandemica sulle relazioni umane. L’ultima emergenza sanitaria avrebbe, infatti, ulteriormente aggravato lo stato di vulnerabilità di milioni di persone. I tanti (filosofi, sociologi, analisti della politica mondiale) che hanno studiato gli effetti della diffusione del virus, ne hanno anche colto una meno fisiologica, ma non per questo meno pervasiva e insidiosa, forma di tossicità: la frammentazione dei contesti relazionali, l’aumento dei casi di solitudine e la cronicizzazione di varie forme di asocialità. Le comunità sono diventate contenitori di forme virtuali di convivialità, luoghi della reale e non dissimulata disconnessione dalla vita. Il desiderio di comunità si fa, in questo modo, tanto più forte e urgente quanto più se ne sente distante e complicata l’esaudibilità: «La comunità ci manca – ammonisce Bauman – perché ci manca la sicurezza, elemento fondamentale per una vita felice, ma che il mondo di oggi è sempre meno in grado di offrirci e sempre più riluttante a promettere».1 Si potrebbero rovesciare i termini dell’analisi di Bauman e sostenere che l’insicurezza che rende difficili i nostri giorni e che fa lievitare paure e fragilità sia, invece, l’effetto di una comunità assente. Non mancherebbe la comunità perché starebbero venendo meno i requisiti di sicurezza su cui si fonderebbe, ma, invertendo il nesso causa-effetto, il senso di una maggiore vulnerabilità dipenderebbe piuttosto dalla comunità incapace di assolvere vecchie mansioni e prendersi cura dei membri che ne fanno parte. Quella che manca o sta venendo a mancare è, si potrebbe dire, la comunità di tempi non più presenti, molto selettiva, quasi impermeabile, chiusa e sospettosa, refrattaria all’idea di un mondo o villaggio globale. Lo crede anche Bauman, senza dubbio, ma la sottolineatura del ruolo insostituibile della comunità (ruolo insostituibile, eppure sempre più fatto oggetto di deleghe) può aiutare a comprendere l’entità del suo venir meno. E questo perché, per servirci sempre delle parole di Bauman, siamo abituati a considerare la comunità come «un luogo “caldo”, un posto intimo e confortevole. È come un tetto sotto cui ci ripariamo quando si scatena un temporale, un fuoco dinanzi al quale ci scaldiamo nelle giornate fredde».2 Una descrizione che, se bene intesa, ha ben poco di romantico.

Un tetto sotto cui ripararsi

Questo tetto somiglia infatti a un riparo di fortuna, perché perde pezzi e il materiale con cui si era provveduto ad assemblarlo si è consumato. Ad averlo deteriorato e reso meno funzionale non è stato, tuttavia, il tempo che, trascorrendo, usura qualsiasi cosa, comprese anche le più robuste forme di convivenza umana. No, ad averne accentuato e accelerato il processo di decomposizione è stata la qualità del materiale che ne aveva originariamente definito la struttura. Sembrava materiale di buona “fattura”, capace, per giunta, di rendersi più performante con il passare del tempo, come certi prodotti che, invecchiando, diventano più pregiati. Quante generazioni hanno, del resto, creduto che alla fine dei due conflitti mondiali i progetti dell’umanità (progetti di pace, prosperità, giustizia sociale) avrebbero potuto trovare basi più solide su cui essere impiantati? Trascorse le ore più buie, l’uomo occidentale ha spesso trovato il modo di fare luce attorno a sé e rischiarare la strada da seguire. Al termine del tunnel, si è sempre intravista una luce. All’inizio fiocca e poi sempre più consistente. Oggi, il sentimento della precarietà si accompagna a una percezione apocalittica del presente che, fondata o ingiustificata che sia, va facendosi quasi ordinaria.

Fare l’abitudine alla fine del mondo? Paradossalmente potrebbe essere proprio questa una delle implicazioni più “istruttive” della precarietà. Viene, allora, da immaginare quest’ultima simile a una palafitta i cui pali affondano lentamente nel terreno. Prima o poi, come ha sostenuto Popper, smetteranno di sprofondare, trovando una base solida capace di arrestare il processo verso il basso. Prima o poi accadrà, sempre che la precarietà sia una condizione transitoria e non, come si è ipotizzato, qualcosa di molto più consistente e stabile.

1 Zygmunt Bauman, Voglia di comunità, Laterza, Bari-Roma 2001, p. V.
2 Ivi, p. 3.

Leggi anche

 

Ultime notizie
disinformazione
Informazione

Il virus della disinformazione una minaccia per l’Europa

La disinformazione è il tema del seminario svoltosi a Roma dal titolo “L'Europa alla sfida della disinformazione: #Giornalismo #IA #FakeNews” organizzato dall’Osservatorio TuttiMedia e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea.
di Massimiliano Cannata
disinformazione
europa
Europa

Europa: cinque grandi temi per un’Unione solidale, sociale e democratica

Una comunità aperta, solidale, sociale, incentrata sul benessere dei cittadini. Questa è l'Unione del futuro immaginata dal Laboratorio Europa dell'Eurispes.
di Gianluca Tornini
europa
equità di genere
Donne

Equità di genere e impresa, più donne ma non ai vertici

Gender equality, più donne nelle imprese ma ancora poche al vertice. E se il 2022 ha segnato la chiusura di 6000 imprese al femminile in Italia, si registra una significativa crescita delle imprese basate su innovazione e tecnologia a conduzione femminile.
di redazione
equità di genere
violenza di genere
Donne

8 Marzo, la violenza è una piaga che ostacola l’uguaglianza di genere

L’8 marzo, giornata internazionale della donna, è una data simbolica, che da un lato assume valenza per illuminare il percorso che ha...
di redazione
violenza di genere
padri separati
Società

Nuove povertà: una casa per i padri separati

I padri separati: a richio povertà Nonostante la legge obblighi entrambi i genitori a provvedere al sostentamento economico dei figli nati da una...
di redazione
padri separati
Italia Domani

REACT-EU e fondi europei: il rischio di definanziamento delle risorse

Il pacchetto REACT-EU (Recovery Assistance for Cohesion and the Territories of Europe), ricompreso nell’ambito dell’iniziativa Next Generation EU prevede un'integrazione di quasi 51 miliardi di euro a favore dei programmi della politica di coesione di tutti gli Stati membri rispetto alla precedente programmazione 2014-2020. Il rischio oggi è di definanziamento a causa della mancata spesa dei fondi disponibili.
di Claudia Bugno*
proteine vegetali
Food

Proteine vegetali, la nuova frontiera dei consumi alimentari

Le proteine vegetali non sono solo una moda passeggera: gli alimenti plant based sono acquistati abitualmente dal 54% dei consumatori, per un giro di affari che nel 2030 sarà, secondo le stime, di 25 miliardi di dollari.
di redazione
proteine vegetali
diversity&inclusion
Lavoro

Accoglienza alle diversità e inclusione partono anche dal luogo di lavoro

Diversity&Inclusion, il nuovo libro di Claudio Barnini racconta come un gruppo di aziende ha interpretato il tema della diversità e dell’inclusione sul posto di lavoro.
di redazione
diversity&inclusion
Friuli Venezia Giulia
Lavoro

Modello Friuli Venezia Giulia per un sistema di lavoro efficiente: superati gli obiettivi del PNRR

La Regione Friuli Venezia Giulia ha già raggiunto gli obiettivi nazionali ed europei del PNRR in materia di lavoro. Si può parlare di un vero e proprio “modello Friuli Venezia Giulia” che mette in primo piano la funzione dei Centri per l’Impiego e la sinergia tra pubblico e privato, tra lavoro, formazione e famiglia.
di Marco Ricceri*
Friuli Venezia Giulia
sabino cassese
Intervista

L’Italia disunita ha urgente bisogno di riforme: a colloquio con Sabino Cassese

Il Prof. Sabino Cassese, giurista ed ex ministro del Governo Ciampi, in occasione del suo ultimo saggio “Amministrare la nazione” analizza in un’intervista i temi delle riforme in Italia, della coesione territoriale e politica, della Pubblica amministrazione e della scarsa partecipazione alla politica attiva.
di Massimiliano Cannata
sabino cassese