È stato inevitabile, con la pandemia, immaginare forme diverse per rimanere in contatto, per non rinunciare agli incontri. La necessità è stata quella di supplire alle assenze, perciò abbiamo cercato soluzioni, percorsi, rimedi. Di ogni tipo. A volte solo espedienti, oppure meccanismi più articolati e complessi. Una cosa è certa: il Covid ci ha cambiato la vita.
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Come il Covid ha cambiato la nostra vita: il lavoro e le relazioni sociali
La ricaduta maggiore è avvenuta nel mondo del lavoro, dove tempi, ritmi e modalità sono stati stravolti creando difficoltà sociali e disorientamento personale. Ma, soprattutto, i cambiamenti hanno investito le relazioni umane, sublimate malamente da una finzione: l’interlocuzione tecnologica. Le chat sulle piattaforme web, la messaggistica individuale, le videochiamate, al posto di una stretta di mani, di un incontro personale, di un dialogo a quattr’occhi. Facciamo ancora i conti con il ribaltamento delle abitudini.
Non potevamo evitarlo né fare diversamente. Il sovvertimento delle routine, soprattutto la crisi del lavoro e dell’economia (un milione di posti di lavoro perduti), ha provocato, non a torto, lamentele e proteste. Alcune categorie sono state più colpite e penalizzate, impossibilitate a sopravvivere, a reggere il peso delle restrizioni.
Come sono cambiati luoghi e città
Ma il pericolo del contagio, sempre incombente a causa delle vaccinazioni a rilento, ha imposto la prudenza in ogni passo, per evitare che la situazione, già precaria, peggiorasse e sfiorasse la tragedia, come sta accadendo in India (quasi 400.000 contagi al giorno) o in Brasile (quasi 90.000). Anzi, le insidie dell’infezione, mai neutralizzate, sono diventate ovunque più aggressive a causa delle varianti (inglese, sudafricana, brasiliana e indiana).
Le restrizioni e la riduzione degli spostamenti ci hanno fatto assistere ad un cambiamento più profondo di quello esteriore: è mutato il volto delle città e il modo di interagire tra le persone. Difficile dimenticarlo. Si sono svuotate le piazze, le strade; la rarefazione della presenza umana ha cambiato i luoghi. Con le attività da remoto, gli uffici e le fabbriche si sono devitalizzati, gli ambienti si sono trasformati in spazi deserti. È mutato il rapporto tra generazioni, e si è incrinato il modello educativo conosciuto. Il silenzio è subentrato alla parola.
Il tempo perduto durante la pandemia
Ora che migliora la situazione sanitaria, la vita riprende lentamente. È impetuoso il bisogno di tornare a vedersi (non importa lo scopo, utilitaristico o effimero, necessario o superfluo), travolgente la richiesta di tornare a comunicare normalmente, ma le immagini di desolazione continuano a tormentarci. Sono memoria di un pericolo recente, non superato né metabolizzato, tuttora incombente.
La trasformazione della socialità, fonte di angoscia e preoccupazione, suona anche come avvertimento dell’entità dello sforzo necessario per recuperare il tempo perduto, ma il ritorno alla normalità è più difficile del previsto, per la contraddittorietà delle visioni politiche e per motivi economici. Le risorse dovranno essere imponenti, il rischio è che le conseguenze di questi impegni ricadano sui giovani rendendone più incerto il cammino. E non basta. Serve recuperare la fiducia nel futuro: il bene più prezioso e anche più fragile.
Le chiusure hanno creato danni e fatto vittime in molti settori. È diventata incerta ‒ ben oltre la crisi dell’occupazione specie femminile e giovanile – la sopravvivenza di quelle attività che sono sempre state espressione di cultura e socialità.
La perdita di carica vitale ha riguardato la materialità dei luoghi, e ha investito la funzione stessa (etica, formativa, civile) di quegli ambienti. Ne ha incrinano lo spirito e la ragion d’essere. Teatri, musei, circoli, fondazioni, per esempio, ma anche scuole, ambienti lavorativi, associazioni, sono “luoghi” dove nascono conoscenze, si scambiano opinioni, si costruiscono relazioni. La pandemia ha segnato uno spartiacque tra il prima e il dopo: la novità è l’evaporazione della presenza. Così il Covid ha cambiato la nostra vita.
Questi ambiti offrono pur sempre alle idee e ai progetti la possibilità di formarsi e di evolvere; sono un terreno prezioso di coltura dei fermenti intellettuali. Che necessitano anche di processi di confronto diretto e condivisione. È la creatività umana che ha bisogno di spazi, e forme dialogiche personali, per generare frutti.
*Angelo Perrone è giurista e scrittore. È stato pubblico ministero e giudice. Si interessa di diritto penale, politiche per la giustizia, tematiche di democrazia liberale. È autore di pubblicazioni, monografie, articoli.