Il linguaggio del virus oltre la pandemia

pandemia

Vorremmo lasciarci alle spalle la pandemia, ma sono in agguato i soliti malanni: la demagogia, i protagonismi, le incertezze sul da farsi, i messaggi contraddittori. Ora che arriva l’estate e abbiamo una gran voglia di fuggire, rischiamo di perdere lucidità e chiarezza. Proprio ora che, grazie ai vaccini, pronti in appena un anno, abbiamo cominciato a riprenderci il filo della vita.

Stiamo riassaporando il diritto di uscire, soprattutto di tornare a lavorare, di recuperare il senso di normalità. Vorremmo riprenderci il tempo perduto. L’incertezza però sembra un tratto connaturato a questa ripartenza. Crea disorientamento, rallenta il passo. Non è chiaro quanto tutto ciò sia inevitabile.

Il linguaggio del virus tra incertezza e ripartenza

Le sofferenze umane provocate dalla pandemia sono snocciolate ogni giorno e suonano come ammonimento per chi ha scarsa memoria dei guai combinati l’estate scorsa. Il prezzo pagato finora è di 120 mila decessi. Per non dire dei contagi, dei ricoveri, dello sforzo sostenuto dalla struttura sanitaria.

Così tocchiamo con mano, e non c’è bisogno di sentirselo rammentare, le turbolenze economiche provocate dal virus, la perdita dei posti di lavoro, la riduzione dei redditi, le ripercussioni sulla scuola e sulla formazione dei giovani: tutte incognite che pesano nel presente, e condizionano il futuro nostro e dei figli.

Le restrizioni hanno stravolto le abitudini

Ancora, abbiamo criticato le misure pesanti imposte dalla diffusione del virus, difficili da tollerare per un tempo prolungato. Infinite sono state le discussioni sulla natura e sui limiti delle restrizioni. Per quanto non ci fossero alternative, esse hanno avuto ricadute forti sui diritti di ciascuno (circolazione, lavoro, iniziativa economica o culturale), hanno stravolto tante abitudini.

La violenza della pandemia non ha risparmiato alcun settore, introducendo nuove parole d’ordine, a testimonianza di un cambiamento epocale che ha sconvolto anche il nostro modo di pensare. Quanto avevamo finora progettato non valeva più. Gli strumenti che immaginavamo utili erano superati. Altre ed urgenti erano le necessità da affrontare.

La violenza della pandemia non ha risparmiato alcun settore

Sono cambiate le priorità, le gerarchie di valore, una volta che il virus ha preso a spazzar via, fuscelli al vento, le vite dei più fragili. L’agenda delle cose da fare, e prima ancora da meditare, andava completamente riscritta. Il compito spettava ai politici certo, ma non poteva essere delegato solo a loro: riguardava ognuno, perché la vita di ciascuno ha cambiato volto, drasticamente. L’esistenza in genere andava “riannodata” secondo altre regole.

Il virus ha introdotto un lessico nuovo, spesso sconosciuto, molte parole inglesi, una lingua più adatta, per la sua sinteticità ed asciuttezza, a spiegare le cose (lockdown, spillover, smart-working). Serviva intendersi rapidamente, comunicare in fretta, mandare messaggi incisivi.

Non sempre è stato raggiunto lo scopo. A parte tutto, c’è stata un po’ di confusione, un miscuglio tra approssimazione, errore, e allusione. Persino augurio inespresso. Lo si è visto a proposito del lavoro da remoto, tradotto smart working quando sarebbe stato corretto indicarlo come remote working. Ma smart era più fascinoso, suggeriva agilità/intelligenza, era meglio per un lavoro tra le mura domestiche.

Il virus ha introdotto un lessico nuovo

L’operazione non ha avuto solo l’effetto di diffondere un corposo meticciato linguistico. L’avanzata della pandemia ha imposto termini anche italiani poco diffusi ed ugualmente stringati, da allora entrati nel lessico verbale. Ecco allora, a piene mani, parole come distanziamento, confinamento, assembramento. Frammenti del tessuto sociale ormai lacerato. Fili di un ordito costituito da contagi e ricoveri, terapie e morti.

Tra le conseguenze più importanti della pandemia, accanto a quelle materiali, va messo in conto anche questo: un cambiamento del linguaggio. Specchio della trasformazione dovuta al virus, testimonianza del modo di percepire la minaccia e di affrontarla. Non si tratta solo di scegliere le parole da usare per limare la forma, e limitarsi ad un semplice trucco estetico. La mente sceglie i concetti a ragione. Le parole rispecchiano gli strumenti per cambiare la realtà, e viceversa quest’ultima rimanda ai principi da cui prende le mosse.

C’è sempre una correlazione tra la realtà e il modo di rappresentarla. O, come suggeriva il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein, addirittura una “complicità” tra di esse, tanto radicata quanto misteriosa ed affascinante: «il modo in cui si parla e il modo in cui si vive sono legati da una inscindibile complicità». Le parole della pandemia sono diverse da quelle di ieri, hanno segnato il presente, nominando l’approccio con cui abbiamo affrontato il male che scompaginava le nostre vite.

Le parole della pandemia sono diverse da quelle di ieri

È palese che l’intento perseguito, con parole inglesi o italiane (altrove lo stesso, con la propria lingua nazionale), sia stato quello di facilitare l’interazione collettiva. La speranza, traducendo il da farsi in pochi concetti, era quella di creare un ponte tra la vastità del dramma e la piccolezza di ciascuno. Come comportarsi? Ecco il “confinamento”, il “lockdown”. Gli studi, la scuola? In “Dad”. L’attività lavorativa? Pratichiamo il “lavoro da remoto” (divenuto, per magia, anche agile e intelligente, cioè smart, da che era solo casalingo). Una preoccupazione importantissima nell’emergenza, per quanto insidiosa e spesso non appagante. Lo si è visto con i dubbi suscitati da ogni prescrizione. Allora, cosa si può fare e cosa no? Questa ipotesi rientra o meno nei divieti?

Le singole parole sono rappresentative di un pensiero ampio, necessariamente complesso come la realtà che prova a interpretare. Così in tutte le lingue, anche quando ci sembrano più sintetiche. Ognuna ha una sua densità, una intrinseca tortuosità, come è facile constatare a proposito del lavoro di traduzione di testi stranieri. I termini usati per scandire il cambiamento provocati dalla pandemia si sono rivelati inadeguati. Impossibile contenere una massa debordante.

Le parole su quanto accadeva volevano stabilire una connessione immediata tra gli individui. Per essere efficaci e diretti, la politica, la scienza, la comunicazione ha usato affermazioni taglienti, espressioni scheletriche. Inevitabilmente queste parole hanno determinato un’impropria semplificazione dei problemi, con il rischio di generare equivoci e incertezze.

Una incertezza dovuta alla frammentarietà delle percezioni

Concetti di questa natura non sono scorretti, però troppo spesso si sono rivelati sostitutivi della riflessione, sproporzionati rispetto alla complessità. Quando abbiamo accusato spaesamento e smarrimento, non ci è stato chiaro il perché. Non era solo la pandemia. Quell’incertezza era dovuta anche alla frammentarietà delle percezioni, alla difficoltà di raccogliere e tenere insieme tante sensazioni contraddittorie, tra speranza e scetticismo.

La scienza e la politica hanno fallito nella comunicazione 

Come sappiamo, le reazioni sociali al virus sono state molto variegate, anche ispirate a senso di solidarietà e partecipazione, specie nella prima stagione, poi si sono fatte sentire stanchezza e fatica. È tranquillizzante collegare il peggioramento dello stato d’animo alla reiterazione del virus, e al problema di mantenere alta la guardia. Più opportuna invece una riflessione sulla capacità – al di là del protrarsi della pandemia – di pensare un modello appropriato di azione collettiva in casi tanto problematici.

Questa inadeguatezza – rispetto all’opinione pubblica – è palese, guardando al modo in cui la scienza e la politica hanno giocato la partita. Nel complesso, non una buona prova. Nonostante l’impegno di molti, gli sforzi sul campo. Persino i professionisti del rigore scientifico e della prudenza linguistica sono apparsi, in una situazione tragica, infantilmente sensibili alle seduzioni della ribalta e alle trappole della mondanità. Sino a far degradare la discussione a moderna commedia dell’arte, con distribuzione di maschere e ruoli: il polemico, il presenzialista, il vanitoso, l’arrogante.

Il lessico della pandemia ha alternato effetti di segno opposto, disgreganti e coesivi

Non è solo un problema di debolezza della natura umana di fronte alla notorietà improvvisa. C’è anche questo naturalmente. Ma sullo sfondo il tema è un altro: la consapevolezza della funzione sociale da svolgere, l’incidenza del proprio dire sulla risposta collettiva al virus, l’importanza del singolo contributo rispetto alla tenuta del tessuto sociale. Il lessico della pandemia ha alternato effetti di segno opposto, disgreganti e coesivi.

Se si percepisce a volte l’alternativa desolante tra allarmismo obbediente e ribellismo negazionista, tra paura immotivata e diffidenza scettica, due estremi ugualmente pericolosi, è perché nel mezzo mancano umiltà e forza. La prima per riconoscere la complessità del reale e la difficoltà di confrontarsi con essa. La seconda per scegliere le parole giuste prima dell’azione. Ne era convinto un altro filosofo, l’inglese John Austin: «ogni dire è anche un fare». La parola riesce non solo a rappresentare i comportamenti passati, anche a influenzare quelli futuri, più di quanto non si immagini.

*Angelo Perrone, è giurista e scrittore. È stato pubblico ministero e giudice. Si interessa di diritto penale, politiche per la giustizia, tematiche di democrazia liberale. È autore di pubblicazioni, monografie, articoli.

Leggi anche

 

Ultime notizie
disinformazione
Informazione

Il virus della disinformazione una minaccia per l’Europa

La disinformazione è il tema del seminario svoltosi a Roma dal titolo “L'Europa alla sfida della disinformazione: #Giornalismo #IA #FakeNews” organizzato dall’Osservatorio TuttiMedia e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea.
di Massimiliano Cannata
disinformazione
europa
Europa

Europa: cinque grandi temi per un’Unione solidale, sociale e democratica

Una comunità aperta, solidale, sociale, incentrata sul benessere dei cittadini. Questa è l'Unione del futuro immaginata dal Laboratorio Europa dell'Eurispes.
di Gianluca Tornini
europa
equità di genere
Donne

Equità di genere e impresa, più donne ma non ai vertici

Gender equality, più donne nelle imprese ma ancora poche al vertice. E se il 2022 ha segnato la chiusura di 6000 imprese al femminile in Italia, si registra una significativa crescita delle imprese basate su innovazione e tecnologia a conduzione femminile.
di redazione
equità di genere
violenza di genere
Donne

8 Marzo, la violenza è una piaga che ostacola l’uguaglianza di genere

L’8 marzo, giornata internazionale della donna, è una data simbolica, che da un lato assume valenza per illuminare il percorso che ha...
di redazione
violenza di genere
padri separati
Società

Nuove povertà: una casa per i padri separati

I padri separati: a richio povertà Nonostante la legge obblighi entrambi i genitori a provvedere al sostentamento economico dei figli nati da una...
di redazione
padri separati
Italia Domani

REACT-EU e fondi europei: il rischio di definanziamento delle risorse

Il pacchetto REACT-EU (Recovery Assistance for Cohesion and the Territories of Europe), ricompreso nell’ambito dell’iniziativa Next Generation EU prevede un'integrazione di quasi 51 miliardi di euro a favore dei programmi della politica di coesione di tutti gli Stati membri rispetto alla precedente programmazione 2014-2020. Il rischio oggi è di definanziamento a causa della mancata spesa dei fondi disponibili.
di Claudia Bugno*
proteine vegetali
Food

Proteine vegetali, la nuova frontiera dei consumi alimentari

Le proteine vegetali non sono solo una moda passeggera: gli alimenti plant based sono acquistati abitualmente dal 54% dei consumatori, per un giro di affari che nel 2030 sarà, secondo le stime, di 25 miliardi di dollari.
di redazione
proteine vegetali
diversity&inclusion
Lavoro

Accoglienza alle diversità e inclusione partono anche dal luogo di lavoro

Diversity&Inclusion, il nuovo libro di Claudio Barnini racconta come un gruppo di aziende ha interpretato il tema della diversità e dell’inclusione sul posto di lavoro.
di redazione
diversity&inclusion
Friuli Venezia Giulia
Lavoro

Modello Friuli Venezia Giulia per un sistema di lavoro efficiente: superati gli obiettivi del PNRR

La Regione Friuli Venezia Giulia ha già raggiunto gli obiettivi nazionali ed europei del PNRR in materia di lavoro. Si può parlare di un vero e proprio “modello Friuli Venezia Giulia” che mette in primo piano la funzione dei Centri per l’Impiego e la sinergia tra pubblico e privato, tra lavoro, formazione e famiglia.
di Marco Ricceri*
Friuli Venezia Giulia
sabino cassese
Intervista

L’Italia disunita ha urgente bisogno di riforme: a colloquio con Sabino Cassese

Il Prof. Sabino Cassese, giurista ed ex ministro del Governo Ciampi, in occasione del suo ultimo saggio “Amministrare la nazione” analizza in un’intervista i temi delle riforme in Italia, della coesione territoriale e politica, della Pubblica amministrazione e della scarsa partecipazione alla politica attiva.
di Massimiliano Cannata
sabino cassese