Travolti da tutto, è stato un attimo. Ci ritroviamo immersi in un mondo di lucine, addobbi, corone di abeti, pronti ai festeggiamenti che quest’anno si preannunciano diversi. Non era così da tempo, continuiamo a ripeterci stupiti, calcolando i sacrifici compiuti. Per la prima volta, dopo le restrizioni imposte dal virus, ci saranno tavole allargate e libertà di abbracci, influenza permettendo. Pensiamo agli appuntamenti e ai doni, da fare e ricevere. Si preannuncia una fase di stordimento che durerà un po’, capace di far schizzare in alto i livelli di serotonina. Saremo contenti di ridere di nuovo, scherzare, non aver paura di incontrare amici e parenti sotto l’albero. Sarà una tentazione immergersi nel clima delle feste senza pensare troppo al resto, guardando solo al presente. Poi, certo, verrà un altro giorno e si ricomincerà da capo, ma allora si vedrà, inutile affannarsi ora. Intanto affrontiamo questo passaggio, intenso ed emozionante, magari impegnativo, non diversamente da quelli precedenti, che vorremmo lasciarci alle spalle, senza riuscirci. Perché sono stati devastanti e non hanno esaurito gli effetti. Non abbiamo avuto scudo alcuno che ci proteggesse da una sequela di accelerazioni travolgenti, che si sono susseguite tanto da confonderne la memoria. Non ne abbiamo grande colpa forse, perché la fatica generale si è accompagnata al dolore personale e al disagio sociale.
Un anno segnato da guerra e sconvolgimento climatico
Era il 24 febbraio quando Putin iniziava la follia dell’invasione dell’Ucraina, e in tanti mesi, si sono accumulate innumerevoli stragi, ma non c’è alcuna prospettiva di “cessate il fuoco”. Siamo sempre sul baratro dell’incrudelimento ulteriore del conflitto e della minaccia delle armi nucleari. Manca ogni prospettiva di pace nella giustizia e nel rispetto dei diritti. L’eco degli spari e il tuono dei missili sono giunti fino a noi. Era impossibile girarsi dall’altra parte e fare finta di nulla. La crisi energetica ha messo al buio le città ucraine, costringendole al freddo e alla fame, ma ha provocato a cascata la moltiplicazione delle nostre spese mensili, accentuando le difficoltà del sistema economico. Lo sconvolgimento climatico ha cessato d’essere un fattore lontano di rischio, argomento buono solo per conferenze accademiche e discussioni retoriche, quando ha generato ovunque, in tragica alternanza, siccità e inondazioni. Incrociato alle colpe umane, agli abusi edilizi e alla mancanza di manutenzione del territorio, il clima ha generato distruzioni, frane, colate mortali di fango.
L’Avvento ci ricorda l’attesa della Luce
Il calendario ci ricorda la stagione dell’Avvento, che dovrebbe essere attesa della Luce, quale che sia la nostra credenza, a partire magari dal buon auspicio del solstizio del 21 dicembre, che dà inizio alla riduzione del buio e al recupero delle giornate. Accusiamo però, per necessità oppure per scelta, la difficoltà di far nostra la dimensione interiore dell’attesa, che non è propria soltanto di un momento dell’anno ma lo attraversa tutto. L’attesa sarebbe infatti rallentamento delle nostre azioni, indugio sui passi da compiere, riflessione sul motivo degli affanni, studio dei possibili rimedi. Le pratiche religiose con i riti e i simboli hanno anche questa implicazione suggestiva. Come del resto tante prassi del mondo laico. Sono proiettate sul disegno di offrire un diverso esercizio di vita, più attento al tempo, e dunque alla riflessione. Invece, noi facciamo esattamente l’opposto, cerchiamo velocità e immediatezza, applichiamo lo scrolling a tutti i gesti dell’esistenza non solo allo schermo del telefonino, sollecitati a farlo il più rapidamente possibile, con la conseguenza di non soffermarsi su nulla. È dispersione dell’attenzione e dell’interesse, in una pluralità di attimi sterili di senso. È, soprattutto, perdita di conoscenza e di complessità.
Facciamo esperienza dell’attesa soltanto nel rapporto con i bambini
Alcuni adolescenti hanno affrontato l’esperienza di confrontarsi con oggetti in uso non molto tempo fa. Sono stati invitati in una stanza dove c’erano solo strumenti oggi negletti. Il telefono da tavolo con la rondella. I dischi da 3,5 pollici dei computer. Le video cassette per i film alla Tv. L’assenza di memoria e di esperienza era palpabile nella difficoltà di maneggiare questi strumenti, sapere a cosa servissero, come utilizzarli. Facciamo esperienza dell’attesa soltanto nel rapporto con i bambini, quando siamo costretti a rallentarne la frenesia di fronte a feste e appuntamenti. Abituati ad un mondo dove tutto è accessibile subito, e immediatamente acquisibile, li esortiamo ad avere un registro differente. Ma, educare all’attesa è impegno che riguarda anche gli adulti, a prescindere dal rapporto educativo e anche dai festeggiamenti di qualsiasi natura.
L’attesa non è un vuoto inutile, è studio, riflessione, scelta
Dovrebbe essere, il passaggio stretto del rallentamento, innanzi tutto un modo adulto di essere e di affrontare la vita. Accanto al consumismo degli oggetti e dei giocattoli, c’è quello ancora più fagocitante del tempo. La fretta impedisce pure agli adulti, nella loro vita consapevole, di apprezzare il valore delle cose. L’attesa in fondo non è un vuoto inutile, è studio, riflessione, scelta. A ben vedere, sia la vita individuale che quella dell’intera comunità non possono prescindere dall’apprezzamento della misura del tempo. Che è affidata in ogni società, a riti, ricorrenze, momenti, i quali, nell’insieme, sono la rappresentazione simbolica dei valori su cui si basano l’ordinamento e la convivenza civile