Possibili profili speculativi sull’aumento dei prezzi della benzina e la marginalità delle cause fiscali

prezzi della benzina

In questi giorni si è tanto parlato di rapporto tra aumento dei prezzi della benzina e aumento delle accise. Ma gli effetti delle accise sul prezzo della benzina sono davvero così rilevanti? Forse qualche riflessione su un tema tanto importante per le tasche degli italiani può essere opportuna, partendo da come tale prezzo si forma. Il dato di margine di profitto attribuito alle compagnie petrolifere è comprensivo della cosiddetta quotazione Platts, vale a dire di quello che, per convenzione, viene assunto dai petrolieri come il costo dei prodotti finiti – benzina e gasolio – sul mercato internazionale. Al di là delle quotazioni internazionali del greggio (e più precisamente del Brent per quanto riguarda l’Europa), che rispecchiano più l’andamento del mercato finanziario e che quindi indicano soprattutto una tendenza di prezzo influenzata da timori, preoccupazioni e speculazioni, il vero riferimento è quindi proprio il Platts, che fotografa il valore effettivo dei prodotti raffinati, basato sugli scambi fisici in un determinato giorno e in una determinata area. Le fasi di tutta la filiera, ivi comprese le speculazioni internazionali, sono comunque interamente controllate dalle stesse compagnie petrolifere, quasi tutte integrate. Vale a dire che ciascuna compagnia petrolifera (la divisione operativa) vende/compra i prodotti a/da se stessa (la corporate). E lo fa ad un prezzo che spesso nulla ha a che vedere con la quotazione Platts, ma semmai con le particolari esigenze interne di ogni azienda.

Il Platts fotografa il valore effettivo dei prodotti raffinati, basato sugli scambi fisici in un determinato giorno e in una determinata aerea

Ciò emerge anche se si osserva come le stesse compagnie petrolifere vadano abbondantemente sotto il margine denunciato quando vendono i prodotti sul libero mercato alle pompe bianche (cioè indipendenti e senza esclusiva con le compagnie). E siccome si può essere certi che le compagnie petrolifere non vendano in perdita, ciò significa che una parte consistente del loro margine potrebbe “nascondersi” proprio all’interno della quotazione Platts. E del resto, non a caso, il “margine industriale lordo” – cioè quella componente che contiene la parte del prezzo che le compagnie riservano a sé stesse – è l’unico elemento “presunto”. L’unico elemento cioè che viene calcolato per differenza rispetto ad altri dati considerati oggettivi: il prezzo al pubblico medio rilevato dal Ministero dello Sviluppo Economico, il valore dell’Iva e dell’accisa, il costo internazionale del “prodotto finito” sulla base della quotazione Platts (già questo comunque, in realtà, non proprio oggettivo). La differenza nei prezzi alla pompa che si può rinvenire tra gli impianti “colorati” e gli impianti indipendenti, pertanto, a parte i fenomeni patologici di frode, o è ascrivibile ad una diversa valorizzazione della materia prima, oppure a fattori individuabili nelle fasi a valle della raffinazione, e dunque nella logistica e nella distribuzione.

Una parte consistente del margine delle compagnie petrolifere potrebbe “nascondersi” proprio nella quotazione Platts

Per costruire  il  prezzo  al  consumo,  infatti,  si  parte  dal  costo  di  acquisizione  basilare  del  bene (quotato  dal  Platt’s  specifico  del  prodotto), si  aggiungono  i  costi  di  commercializzazione  e gestione  ed  il  ricarico  (ricavo  industriale)  e,  infine,  le  imposte  indirette  e  sul  valore  aggiunto degli scambi (oneri fiscali, accisa ed Iva). Addossare allora tutta la “colpa” alle accise (o individuare nella loro riduzione la sola soluzione) è poco lungimirante. Più strategico sarebbe individuare i possibili casi di determinazione del prezzo fuori mercato: sia quello in cui si faccia un prezzo superiore, poi scaricato sui consumatori (con conseguente “extraprofitto”) e sia quello in cui invece, anche grazie alla compensazione tra i vari passaggi (e costi e ricavi) della filiera, si faccia un prezzo che apparentemente sia addirittura antieconomico e sotto costo (come quando appunto le stesse compagnie vendono il medesimo prodotto alle pompe bianche, con sconti non coerenti con il margine lordo dichiarato). Insomma, per intervenire con cognizione di causa sui prezzi della benzina bisognerebbe riuscire ad intercettare tutti i fenomeni di eventuale arbitraggio dei prezzi rispetto ad un comune ed oggettivo valore normale di riferimento, distinto per prodotto, mercato e fase di commercializzazione.

Prezzi benzina, ci vuole una strategia di lungo respiro non limitata al dibattito sulle accise 

In definitiva, a determinare la sproporzione nell’andamento dei prezzi sono più elementi: non solo il fisco, ma anche le strategie economiche che incidono sul prezzo industriale delle compagnie, e le strategie finanziarie e speculative che agiscono sulla leva delle riserve, laddove l’ampia liquidità ha senz’altro favorito in questi anni un’attività di hedging delle compagnie, che utilizzano, in via ordinaria, strumenti speculativi per “proteggere” il valore del greggio, consentendogli, nonostante la discesa del prezzo del greggio di (sopra)valutare le loro riserve grazie ai meccanismi di valorizzazione delle scorte. Certo, in termini puramente percentuali il fisco rileva, eccome. Ma, in tale contesto, un peso rilevante lo assumono anche le dinamiche di prezzo infragruppo della filiera e le strategie speculative, laddove gli strumenti finanziari più importanti utilizzati per fare trading sul petrolio sono infatti i contratti futures, gli EFP (Exchange of Futures for Phisycal), le opzioni su futures, gli swap e i CFD (Contract For Difference). Insomma, le società petrolifere sono ormai veri e propri trader e questo può avere anche riflessi sul prezzo a carico del consumatore. Certo, come detto, la componente fiscale è rilevante. Ma non è così rilevante. E allora, come già avviene in Norvegia, si potrebbe magari ipotizzare un meccanismo di individuazione del prezzo di mercato al netto delle manovre speculative. Quello che in ogni caso ci vuole è una strategia di lungo respiro, non limitata al dibattito accise sì, accise no.

*Giovambattista Palumbo, Direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche Fiscali.

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