È stato presentato questa mattina, presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, il Secondo Rapporto dell’Eurispes sulla Scuola e l’Università in Italia. L’indagine ha coinvolto Scuole ed Università pubbliche e private italiane per 4.827 questionari somministrati complessivamente. Il Presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara ha sottolineato in apertura l’attualità di temi e problematiche riscontrati già nella prima indagine di Eurispes dedicata alla scuola, del 2003, come la dualità del sistema dell’istruzione e della formazione professionale o le difficoltà nel fare ricerca scientifica nel nostro Paese. «Negli ultimi vent’anni – ha spiegato il Presidente Fara – sono stati sistematicamente smontati progetti di riforma della scuola, sopravvissuti solo pochi giorni alla caduta delle forze di governo che li avevano partoriti. Non deve perciò sorprendere più di tanto se anche oggi, e non solo perché ne ricorra il centenario, accada di dover fare i conti con la “riforma Gentile”. E ciò significa valutare l’incidenza dell’onda lunga dei suoi effetti, riconoscerne innanzitutto la presenza, prendere in esame le ragioni che possono aver determinato il fallimento, più o meno parziale e più o meno doloroso, di molti tentativi di cancellarla». Ma per fare i conti con la “riforma Gentile” bisogna confrontarsi anche con ciò che è stato fatto, concretamente, per portare la scuola italiana verso un futuro di innovazione sia didattica che tecnologica. In merito a ciò, il Presidente Gian Maria Fara ha sottolineato: «Ci si chiede se la scuola sia effettivamente una priorità nell’agenda nazionale, visto che la voce del Pil relativa all’istruzione va sempre più assottigliandosi. Negli ultimi 25 anni abbiamo visto ridursi dal 5,5% al 4% la spesa nazionale per la scuola. Un paradosso, dal momento che, almeno a parole, diciamo di considerare la scuola la grande priorità del Paese. Proprio per questo– ha concluso il Presidente Gian Maria Fara – restiamo fiduciosi sul buon uso che dovrà essere fatto dei finanziamenti del PNRR, sulla cui efficacia l’Italia si gioca una buona fetta della sua credibilità e delle sue prospettive di crescita. L’Istruzione, d’altronde, più di qualsiasi asset, rappresenta oggi il futuro dell’Italia».
Negli ultimi 25 anni abbiamo visto ridursi dal 5,5% al 4% la spesa nazionale per la scuola
Il Direttore dell’Osservatorio dell’Eurispes sulle Politiche educative, Mario Caligiuri ha in seguito evidenziato, nel suo intervento, come il tema dell’educazione non sia uno tra i tanti. «Nella società della conoscenza rappresenta il settore decisivo del progresso e dell’innovazione, per cui l’educazione dovrebbe venire prima dell’economia ma i Parlamenti si occupano di economia più che di educazione e per una ragione molto semplice: la prima offre risposte immediate mentre la seconda produce risultati a distanza di decenni». Caligiuri ha dato voce alla necessità di riforme strutturali, profonde, che possano anticipare le inevitabili trasformazioni che sono già in atto. «Scuole e università – ha concluso Mario Caligiuri – sembrano essere ammortizzatori sociali più che luoghi dove si costruisce il futuro e si attenuano le diseguaglianze. Proprio per questo, a cento anni dalla riforma Gentile, è indispensabile identificare l’educazione di qualità basata sul merito come fattore dello sviluppo e di riduzione delle ingiustizie sociali, elaborando una pedagogia della nazione che consenta al nostro Paese di continuare a rimanere una delle potenze culturali e industriali del pianeta».
L’educazione dovrebbe venire prima dell’economia ma i Parlamenti si occupano di economia perché offre risposte immediate
Dalla lettura dei dati emersi dall’indagine di Eurispes, emerge innanzitutto la presenza invasiva di una “burocrazia” che genera un impedimento oggettivo allo svolgimento del lavoro educativo. Il 93% dei docenti di ogni ordine e grado sono sovraccaricati e distolti dal loro ruolo formativo da un eccesso di burocrazia. Altro elemento comune risulta essere il giudizio sugli investimenti nell’istruzione: per quasi l’87% dei docenti della primaria e della secondaria di primo grado questa voce di spesa è scarsa o insufficiente, un risultato simile a quello registrato presso gli insegnanti delle secondarie di secondo grado (88%); più marcato invece l’orientamento espresso dai docenti universitari (90,2%). I docenti invece apprezzano in maggioranza l’autonomia che hanno nella scelta dei programmi e dei metodi di insegnamento e la sensazione di svolgere un ruolo cruciale nell’educazione delle giovani generazioni. Di contro, esprimono insoddisfazione per il trattamento economico (il 65% trai professori universitari e quasi tutti, il 90%, tra i docenti delle altre classi), per il mancato riconoscimento dell’importanza del ruolo dei docenti universitari da parte della società (il 55,5% per i docenti universitari e oltre l’80% per tutti gli altri), per le opportunità di carriera e crescita professionale (il 54,2% di chi insegna nelle Università e oltre 80% dei docenti delle primarie e secondarie).
Troppa burocrazia e scarsi investimenti per l’istruzione secondo docenti di scuole e università
Il 65% dei docenti di scuola primaria e secondaria di primo grado afferma di aver riscontrato problemi di eccessiva numerosità delle classi nel corso della propria attività di docente, e nel 90% dei casi, i docenti concordano sull’opportunità di fissare a 15 il limite massimo di alunni per classe per far fronte al sovraffollamento. La presenza dei mediatori interculturali è ritenuta inadeguata (nell’83,1% dei casi nella primaria e secondaria di primo grado e nel 79,6% nella secondaria di secondo grado), così come il numero degli psicologi nelle scuole (rispettivamente 79,7% e 69,7%). Inoltre, viene segnalato un problema di governance degli Istituti scolastici, con riferimento al ruolo dei dirigenti, investiti di molte responsabilità, ma dotati di poca autonomia e riconoscimento. Per quanto riguarda gli spazi didattici, promossa dai docenti la dotazione informatica (i giudizi positivi sono il 64,6%). Palestre (59,8%) e ambienti scolastici (54,4%) sono inadeguati per quanto riguarda le scuole secondarie di secondo grado. Mentre nelle primarie e alle medie i docenti bocciano soltanto gli spazi dedicati allo sport e alle palestre (51,7%). I giudizi in ogni modo divergono molto a seconda dell’area geografica nella quale si trova l’Istituto scolastico. I docenti si dichiarano, inoltre, molto favorevoli a dedicare più spazio nei programmi di insegnamento alle discipline Stem (72,1%).
La presenza dei mediatori interculturali e degli psicologi nelle scuole è ritenuta inadeguata
Un insegnante su due (53,6%) nelle scuole primarie ha osservato almeno una volta il fenomeno dell’abbandono scolastico, anche se la dispersione è maggiore nelle scuole medie (71,4%) e ancor di più alle superiori (più negli istituti professionali che nei licei). In tutti i casi, i docenti individuano nella povertà culturale dell’ambiente di origine dei bambini o dei ragazzi la prima causa di dispersione. Il contrasto alla dispersione può avvenire, secondo l’opinione dei docenti, seguendo con maggior attenzione l’apprendimento e l’integrazione degli alunni con difficoltà e, in secondo luogo, coinvolgendo maggiormente le famiglie di origine nel percorso scolastico degli alunni. La presenza eccessiva di docenti precari sembra costituire un importante ostacolo alla continuità didattica e al processo educativo e di apprendimento degli studenti secondo il 58,5% dei docenti della primaria e secondaria di primo grado. Un problema ancora più sentito nelle secondarie di secondo grado (61,2%). Circa 6 insegnati su 10 delle primarie e delle medie si dichiarano insoddisfatti del sistema di valutazione basato sui voti, e il 55,4% non concorda con le critiche che vengono spesso rivolte al metodo di insegnamento diffuso in Italia, accusato di essere troppo nozionistico e mnemonico, poco interattivo. Quest’ultimo giudizio è ancora meno condiviso tra gli insegnanti di licei e istituti professionali.
Il 79,8% dei docenti delle superiori documenta la presenza di bullismo tra gli studenti
Oltre la metà degli insegnanti delle primarie e medie (54,5%) ha sperimentato, almeno in alcune occasioni, ingerenze dei genitori nelle scelte relative ai metodi e ai contenuti dell’insegnamento. Quasi la metà (49,1%) si è sentito contestarealmeno qualche volta voti/giudizi dai famigliari degli alunni. Al 16% dei docenti è successo di ricevere in alcune occasioni minacce da parte dei genitori degli alunni, mentre gli episodi di vera e propria violenza da parte di genitori hanno riguardato almeno 1 docente su 10. Il 79,8% dei docenti delle superiori documenta la presenza di bullismo tra gli studenti, ancora più preoccupante il dato rilevato nella primaria e secondaria di primo grado (82%). Episodi di spaccio di sostanze stupefacenti tra alunni sono denunciati dal 43,3% dei docenti degli istituti professionali e dei licei, dove inoltre sono molti a riportare almeno un caso di furto (65%) o danneggiamenti (78,1%) all’interno della struttura scolastica. Sempre nelle secondarie di secondo grado al 17,6% del personale docente è capitato di subire minacce da parte degli studenti, ma preoccupano gli episodi di violenza: un insegnante su quattro (25%) è stato vittima di violenza da parte degli alunni, almeno una volta nel corso della vita professionale. Per quanto riguarda, infine, gli alunni gender fluid o in transizione, le nostre scuole secondarie di secondo grado sono in grado di affrontarne adeguatamente le esigenze secondo buona parte dei docenti (40,5%), mentre il 32,4% sostiene il contrario.
Insegnamento in presenza imprescindibile per il 97% dei professori, che bocciano le Università telematiche
L’insegnamento in presenza si afferma come una condizione imprescindibile dell’esperienza universitaria: la pensa così il 97% dei professori coinvolti nell’indagine. Ed è forse per questa ragione che il 77,4% dei professori interpellati ha un’opinione abbastanza o del tutto negativa delle Università telematiche. Il 97% dei professori ha riscontrato problemi di abbandono universitario, fenomeno che sarebbe causato in particolare dallo scarso interesse dei ragazzi (21%). Un docente su quattro (25,8%) pensa che per contrastare l’abbandono universitario sia necessario innanzitutto rafforzare il collegamento tra insegnamento e mondo professionale. Il 62,1% dei professori, inoltre, individua un problema di divario tra la formazione universitaria e il mondo del lavoro. Nonostante questo, negli ultimi anni in Italia sono stati fatti dei notevoli passi in avanti per colmare alcune mancanze: per il 77,4% si è trattato di una maggiore attenzione verso i percorsi formativi, per il 60,4% di uno sforzo per favorire il dialogo tra imprese e Università, per il 56,1% è stato potenziato il meccanismo dell’alternanza scuola-lavoro, per il 55,1% sono state implementate le attività extracurriculari.
Il 62,1% dei professori individua un problema di divario tra la formazione universitaria e il mondo del lavoro
Le carenze dei discenti, nell’opinione dei docenti intervistati, si concentrano nella capacità di scrittura (89,1%) e nella proprietà e varietà di linguaggio (88%), a seguire ortografia e sintassi (82,4%) e sviluppo logico dei temi (83%). Nonostante le criticità emerse, l’attuale metodo di valutazione degli studenti, basato sui voti, è adeguato secondo il 77,5% dei professori che inoltre, in larga parte, non condividono la critica verso l’insegnamento universitario di essere nozionistico e mnemonico (66,9%). Infine, per il 79% dei docenti coinvolti nell’indagine, l’Università italiana contribuisce “molto” (25,3%) e “abbastanza” (53,7%) alla cultura generale degli studenti. Per il 72,5% essa inoltre trasferisce non soltanto nozioni, ma anche capacità di analisi e critica, mentre per il 71,3% fornisce conoscenze e competenze specifiche utili al mondo del lavoro. Per il 58,5% l’Università sta perdendo centralità come canale di formazione qualificata, e per il 62,1% sarebbe opportuno modulare l’offerta universitaria in modo da potenziare le discipline Stem. Di contro, il 73,8% non pensa che in Italia la quota di laureati sia superiore alle richieste del mercato, né che l’offerta universitaria in Italia sia adeguata alle richieste del mercato del lavoro (68,9%).
Scuola e Università, competenze digitali e innovazione degli ambienti di apprendimento tra le sfide di domani
A completamento dell’indagine sulla Scuola e l’Università sono state realizzate una serie di interviste in profondità incentrate sui temi fondamentali dell’Istituzione scolastica e universitaria odierna. Le risposte fornite possono essere sintetizzate in alcuni punti condivisi in maniera trasversale che rappresentano le sfide più significative che si troverà ad affrontare il nostro sistema dell’istruzione nei prossimi anni: l’innalzamento delle competenze digitali, l’innovazione degli ambienti di apprendimento, la possibilità di praticare nuovi metodi didattici, il problema dell’edilizia scolastica, l’urgenza di combattere la dispersione scolastica, la formazione dei docenti, la retribuzione del personale, il precariato, ladenatalità che rischia di svuotare le scuole e le Università, il diritto allo studio, i finanziamenti alla ricerca. Una questione emergente, definita urgentissima, riguarda poi le conseguenze di carattere piscologico indotte negli adolescenti dalla pandemia. Infine, tra le sfide di un futuro vicino c’è la necessità di riscoprire l’Università come entità al servizio della società e la creazione di una Università europea come naturale evoluzione del sistema universitario di oggi.