Vita da single: dal 1988 ad oggi

Più di trent’anni fa, l’Eurispes decideva di realizzare una ricerca dal titolo “I singles in Italia. Profilo socioculturale” dedicata, appunto, al mondo dei single. Si trattava di un’indagine che prendeva in esame vari aspetti di questo stile di vita: dai consumi al tempo libero, dai valori agli intrattenimenti culturali, senza trascurare il lato affettivo, i figli, le abitudini domestiche. Già allora era chiara l’esigenza di fare luce su questa realtà, poiché si aveva la certezza, grazie a diversi indicatori, che il numero di persone che vivevano da sole andava aumentando, trovando sempre più seguaci non solo nelle grandi città, ma anche nei centri di media dimensione. Alla fine degli anni Ottanta questa categoria di individui si è affermata in maniera preponderante nei paesi più ricchi, per via anche di un benessere economico che ha facilitato il reperimento di case a buon prezzo e che ha permesso un costo medio della vita facilmente sostenibile anche da una persona sola. Grazie all’indagine realizzata dall’Eurispes, si è riusciti, per la prima volta in Italia, a delineare con precisione la figura del single: si trattava ‒ almeno all’epoca ‒ di un individuo metropolitano, carrierista, spendaccione, amante dell’avventura e dei viaggi, narciso, insonne, stressato. Quasi sempre uomini e donne sui trenta/quarant’anni, ad alta scolarizzazione, di reddito medio o medio-alto, impegnati in professioni libere o nei servizi, in attività di notevole impegno.

L’Eurispes nel 1988 stimava 1 milione e mezzo di single  nel nostro Paese

L’Eurispes stimava non più di 1 milione e mezzo di single che vivevano in quegli anni nel nostro Paese, escludendo i pensionati. La vita solitaria, stando alle risposte degli intervistati[1] di allora, non si traduceva solamente nell’assenza di limiti e nella libertà assoluta, ma anche in una serie di incombenze domestiche, oltre che in periodi di estrema solitudine. Compagna fedele dei single era, per esempio, la segreteria telefonica, con oltre il 35% del campione che dichiarava di possederla o essere interessato ad acquistarla. Trattandosi di una tipologia, come detto, ad alta scolarizzazione è naturale che quasi un quarto (23%) del reddito venisse speso per consumi culturali (14%) e hobbies (9%). Altro aspetto da considerare era quello relativo alla cura della persona: attività per la quale si spendeva mediamente il 18% del reddito mensile fra cosmetici, abbigliamento, fitness e così via. L’impiego del reddito di una persona sola, con spese che possono essere considerate fuori dall’ordinario o comunque che non potrebbero essere sostenute da un nucleo familiare con figli, erano possibili all’epoca – ma in parte ancora oggi – anche grazie al costante ricorso e appoggio alla famiglia di origine.

Si stima che nel 2040 quasi il 39% delle famiglie sarà costituito da persone che vivono da sole

Al di là delle prospettive future, la famiglia rimane un saldo punto di riferimento anche quando si va a vivere da soli. Ciò accade in misura maggiore per i single che si trovano a frequentare il nucleo familiare di origine con una regolarità superiore rispetto a chi ha una relazione. Spesso si cena dai genitori dopo una giornata in ufficio, oppure agli stessi si chiede aiuto per i lavori domestici. Nel 1988, ad esempio, a necessitare di questo aiuto “casalingo” erano soprattutto gli uomini (16,5% vs 6,2% delle donne) mentre oggi, probabilmente grazie ad una maggiore emancipazione del mondo maschile nelle attività attinenti alla cura e pulizia della casa, il divario sembra essersi quasi definitivamente appianato. Dagli anni Ottanta ad oggi sono stati molti gli eventi che hanno avuto forti incidenze sul tessuto sociale, economico e demografico mutandolo radicalmente. Crisi economica, crollo delle nascite, aumento della povertà e della disoccupazione, sono solo alcuni degli aspetti che hanno alzato, ad esempio, l’età media di chi riesce a lasciare la casa dei propri genitori per mettere su famiglia o vivere da solo. Tuttavia, già si riconosceva nel modello di vita “da solo” un trend in crescita, in grado di rispecchiare la frantumazione degli schemi tradizionali di convivenza, la crisi della coppia, la nuova ideologia familiare conseguente al sempre maggiore numero di separazioni e divorzi.

La maggiore mobilità lavorativa che costringe spesso a cambiare città, amicizie e ambiente, unitamente ad una società sempre più basata sull’individualismo e sui bisogni del singolo, fa sì che quello del single continui ad essere uno stile di vita in grado di coinvolgere, ancora oggi, una buona fetta di popolazione, nonostante il peggioramento complessivo della situazione economica. E, infatti, l’Italia sembra sempre più proiettata in questa direzione, con il 33,2% delle persone – secondo quanto emerge dai dati sui nuclei familiari del Rapporto Annuale 2022 dell’Istat – che vivono da sole. Il dato segna anche il definitivo sorpasso dei single sulle coppie con figli, le quali rappresentano il 31,2% del campione. La previsione per il nostro Paese è di un aumento sempre più significativo di questa categoria, tanto che per il 2040 si stima che quasi il 39% delle famiglie sarà costituito da persone che vivono da sole (16% uomini, 23% donne).

I single nel mondo

Essere single non significa essere soli. Al contrario, per molti, coltivare amicizie, avere rapporti sessuali con partner occasionali, condividere passioni e viaggi con altri, raggiungere obiettivi professionali, vivere liberi da “costrizioni”, supera il bisogno di vivere in compagnia. Un esempio di questa tendenza è dato dal declino del matrimonio in tutto il mondo: generalmente vengono additate come cause principali la mancanza di denaro, la crisi economica, l’aumento dei prezzi e la disoccupazione. Tuttavia, volgendo lo sguardo alle aree del Pianeta in cui è maggiormente evidente questo fenomeno, si osserva che è soprattutto nelle nazioni più progredite ‒ quelle nelle quali i diritti di tutti sono tutelati e non si hanno ristrettezze finanziarie ‒ che le percentuali di single sono molto alte in ogni fascia d’età. Quindi, anche se non si può affermare (sarebbe un paradosso) che l’insicurezza economica o la povertà rappresentino un incentivo ad impegnarsi nella realizzazione di un nucleo familiare, è altrettanto vero che il benessere e la prosperità di per sé non rappresentano uno stimolo nella direzione della creazione di rapporti stabili e strutturati come quelli di un nucleo familiare. Anzi, probabilmente, è proprio la società del benessere che contribuisce al diffondersi dei single.

Nelle metropoli la percentuale dei single crescerà maggiormente

In generale, è nelle grandi città, specialmente quelle appartenenti ai paesi industrializzati, che si rimane single più a lungo e questo fa presagire che in futuro sarà proprio nelle metropoli che la percentuale dei single crescerà maggiormente, portando cambiamenti anche a livello economico. È già possibile osservare i segnali di questa evoluzione, come, ad esempio, la comparsa nei supermercati di cibi monoporzione, o il diffondersi di proposte immobiliari monofamiliari (monolocali, loft), sempre più richiesti e sempre più costosi. Questa tendenza è confermata, a livello mondiale, da numerosi studi e ricerche come, ad esempio, il Rapporto OnuFamilies in a Changing World”. Il Rapporto delle Nazioni Unite ha raccolto statistiche (ultime disponibili) sulla percentuale di donne che superano i quarant’anni di età senza essersi mai sposate; l’età media nella quale le persone si sposano per la prima volta; la percentuale di quelle che si sposano; e la percentuale di persone sui quarant’anni che sono divorziate o separate. I dati che emergono evidenziano che sempre più donne rimangono single almeno fino alla fine dei quarant’anni, che coloro che si sposano lo fanno più tardi nella vita e che un numero sempre maggiore di chi si sposa divorzierà in seguito. Nel Rapporto si stima che, globalmente, il 4,3% delle donne arriva alla fine dei quarant’anni senza mai sposarsi, ma le differenze per aree geografiche sono molto marcate. Infatti, in Australia e Nuova Zelanda, 1 donna su 7 sui quarant’anni non è mai stata sposata. In Asia centrale e meridionale, lo stesso vale solo per 1 donna su 100.

[1]La Ricerca “I singles in Italia” si basava su un campione di 600 soggetti distribuiti in 10 città rappresentative di diverse realtà socio-economiche (Milano, Como, Padova, Firenze, Perugia, Roma, Lecce, Bari, Palermo, Messina) nel periodo da settembre a novembre 1987. Sono tornati 519 questionari, di cui 483 giudicati validi. Secondo il sesso, 291 (60,2%) sono maschi, 192 (39,8%) femmine. L’età degli intervistati va dai 25-29 anni (33,6%), agli oltre 50 anni (2,5%), con la maggior parte costituita dalla generazione dei trenta-quarantenni (44,7%) e una buona rappresentanza anche dell’età successiva.

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