Un’istituzione al capolinea, inefficiente, fonte di disuguaglianze economiche e territoriali: è il SSN raccontato da GIMBE. I dati sono riportati nel 6° Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN) della Fondazione GIMBE, presentato oggi presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica. Il presidente Cartabellotta ha inoltre affermato che: «I princìpi fondanti del SSN, universalità, uguaglianza, equità sono stati traditi. Oggi sono ben altre le parole chiave che definiscono un SSN ormai al capolinea e condizionano la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche meno abbienti: interminabili tempi di attesa, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria, aumento della spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure». Un indebolimento del SSN progressivo e che dura da oltre 15 anni, perpetrato da parte di tutti i Governi – ha affondato Cartabellotta – rischia di delegare la tutela di un diritto costituzionale fondamentale a «21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato, con una frattura strutturale Nord-Sud che sta per essere normativamente legittimata dall’autonomia differenziata».
I princìpi fondanti del SSN, universalità, uguaglianza, equità, sono stati traditi
Secondo il presidente GIMBE, bisogna ripartire da una serie di criticità che pesano sul bilancio della Sanità: eccesso di prestazioni da medicina difensiva e domanda inappropriata, conseguenze del sotto-utilizzo di prestazioni efficaci, frodi, acquisti a costi eccessivi, complessità amministrative, coordinamento inadeguato tra ospedale e territorio. Ma il recupero di queste risorse richiede una profonda riorganizzazione del SSN, riforme di rottura, formazione dei professionisti e informazione alla popolazione sull’appropriatezza di esami diagnostici e terapie. La Fondazione GIMBE ha poi auspicato un patto sociale e politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, «rilanci quel modello di sanità pubblica, equa e universalistica, pilastro della nostra democrazia, conquista sociale irrinunciabile e grande leva per lo sviluppo economico del Paese».
I dati del Servizio Sanitario Nazionale di GIMBE
Dai dati GIMBE emerge che il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) dal 2010 al 2023 è aumentato complessivamente di € 23,3 miliardi, in media € 1,94 miliardi per anno, ma con trend molti diversi tra il periodo pre-pandemico (2010-2019), pandemico (2020-2022) e post-pandemico (2023). Dal 2010-2019 sono stati sottratti alla sanità pubblica oltre € 37 miliardi. Dal 2020 al 2022 il FSN è aumentato complessivamente di € 11,2 miliardi, crescendo in media del 3,4% annuo. Tuttavia, questo netto rilancio del finanziamento pubblico è stato di fatto assorbito dai costi della pandemia COVID-19, non ha consentito rafforzamenti strutturali del SSN ed è stato insufficiente a tenere in ordine i bilanci delle Regioni. La Legge di Bilancio 2023 ha incrementato il FSN per gli anni 2023, 2024 e 2025. Nella Nota di Aggiornamento del DEF 2023, approvata lo scorso 27 settembre, il rapporto spesa sanitaria/Pil precipita dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026. In termini assoluti, nel triennio 2024-2026 si stima un incremento della spesa sanitaria di soli € 4.238 milioni (+1,1%). La spesa sanitaria pubblica del nostro Paese nel 2022 si attesta al 6,8% del Pil, sotto di 0,3 punti percentuali sia rispetto alla media OCSE (7,1%) che alla media europea (7,1%).
L’Italia si colloca al di sotto della media OCSE per rapporto infermieri/medici
Nel 2021 sono 124.506 i medici che lavorano nelle strutture sanitarie: 102.491 dipendenti del SSN e 22.015 dipendenti delle strutture equiparate al SSN. La media nazionale è di 2,11 medici per 1.000 abitanti, con un range che varia dagli 1,84 di Campania e Veneto a 2,56 della Toscana. L’Italia si colloca sopra la media OCSE (4,1 vs 3,7 medici per 1.000 abitanti), ma con un gap rilevante tra i medici attivi e quelli in quota al SSN. Il Rapporto GIMBE rileva, inoltre, che nel 2021 sono 298.597 gli infermieri che lavorano nelle strutture sanitarie: 264.768 dipendenti del SSN e 33.829 dipendenti delle strutture equiparate al SSN. La media nazionale è di 5,06 infermieri per 1.000 abitanti, con un range che varia dai 3,59 della Campania ai 6,72 del Friuli Venezia Giulia. Qui l’Italia si colloca ben al di sotto della media OCSE (6,2 vs 9,9 infermieri per 1.000 abitanti). L’Italia si colloca al di sotto della media OCSE (1,5 vs 2,7) anche per rapporto infermieri/medici, in Europa davanti solo a Spagna (1,4) e Lettonia (1,2).
Il regionalismo differenziato può aumentare il divario territoriale
Il Rapporto GIMBE evidenzia poi la “frattura strutturale” tra Nord e Sud, che compromette l’equità di accesso ai servizi sanitari e gli esiti di salute e alimenta un imponente flusso di mobilità sanitaria dalle Regioni meridionali a quelle settentrionali. «Ecco perché – ha ribadito Cartabellotta – in audizione presso la 1a Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica abbiamo proposto di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie, perché l’autonomia differenziata in sanità legittimerebbe normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute».
La “mobilità sanitaria” è un fenomeno che riguarda quasi 1,5 milioni di cittadini
La frattura del SSN tra Nord e Sud in tema di mobilità sanitaria era emersa anche nel Rapporto dell’Istituto Eurispes ed Enpam presentato a giugno del 2023 dal titolo “Termometro della Salute – 2° Rapporto sul Sistema sanitario”. I dati evidenziavano innanzitutto una spesa annua degli italiani in salute per prestazioni e farmaci in tutto o in parte non coperti dal SSN di quasi 40 miliardi di euro, raggiungendo una quota del Pil superiore al 2%. A tali costi si aggiunge appunto l’intensificarsi della “mobilità sanitaria”, dovuta alla necessità di rivolgersi a strutture pubbliche di altre Regioni per ottenere prestazioni del SSN di fatto non erogabili nel territorio di residenza. La “mobilità sanitaria” nel triennio del Covid si è contratta, ma considerando i dati del 2018 emergono forti squilibri territoriali relativamente ai pazienti in “ingresso” e in “uscita” tra le diverse Sanità regionali. Le Regioni con un saldo attivo sono Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, e quelle che invece depauperano il loro budget sanitario sono quasi tutte le rimanenti Regioni centro-meridionali. Inoltre, gli importi versati dalle Regioni che “cedono” pazienti a quelle in grado di erogare le prestazioni, determinano una ulteriore difficoltà in budget sanitari già compressi dai piani di rientro. All’opposto, le Regioni che erogano molte prestazioni a cittadini non residenti possono contare su di un over-budget che rende possibili investimenti in strutture e personale, di cui beneficiano in primo luogo i cittadini residenti. Ai due estremi, nel 2018 la Regione Lombardia ha riscontrato un saldo positivo di quasi 809 milioni di euro, mentre la Regione Calabria un deficit di quasi 320 milioni di euro e la Regione Campania di più di 302 milioni. La “mobilità sanitaria” fa emergere la gravità del fenomeno rappresentato da quasi 1,5 milioni di cittadini che nel 2018 per curarsi hanno dovuto rivolgersi al di fuori della regione di residenza.
Gli italiani spendono 40 milioni di euro ogni anno per prestazioni e farmaci non coperti dal SSN
Le serie storiche delle indagini campionarie dell’Eurispes evidenziano un trend da cui emerge che un quarto delle famiglie italiane denuncia difficoltà economiche relativamente alle prestazioni sanitarie. Relativamente al 2022 questa difficoltà si conferma maggiore soprattutto per i cittadini delle regioni meridionali (28,5%) e delle Isole (30,5%). Inoltre, un terzo dei cittadini (33,3%) afferma di aver dovuto rinunciare a prestazioni e/o interventi sanitari per indisponibilità delle strutture sanitarie. I dati del 2023 confermano questo andamento e lo indicano in aumento.
Nel triennio 2019-2021 si sono “persi” in Italia 2.178 medici di medicina generale e 386 pediatri
Per quanto riguarda medici e infermieri, nel Report di Eurispes ed Enpam si evidenziava che nel triennio 2019-2021 si sono “persi” in Italia 2.178 medici di medicina generale e 386 pediatri di libera scelta: in percentuale più del 5%. Ciò ha significato che circa 3.000.000 di cittadini sono rimasti senza medico di base. Anche per le professioni infermieristiche, l’età media degli attuali infermieri attivi è di circa di 47 anni, ma ogni 6 mesi questa età media si alza di una annualità. In un decennio, dunque, a meno di un forte turn-over, la già denunciata penuria muterebbe in una vera e propria carestia. Per gli operatori nella sanità pubblica, il blocco del turnover nelle Regioni in piano di rientro e delle misure di contenimento delle assunzioni hanno comportato la diminuzione del personale a tempo indeterminato. Al 31 dicembre 2018 era inferiore a quello del 2012 per circa 25.000 lavoratori (circa 41.400 rispetto al 2008).
Fondi PNRR, il SSN ha bisogno di interventi non emergenziali ma strutturali
«Se è certo che la Missione Salute del PNRR rappresenta una grande opportunità per potenziare il SSN – ha poi affermato il presidente GIMBE – la sua attuazione deve essere sostenuta da azioni politiche. Innanzitutto, per attuare il DM 77 bisogna mettere in campo coraggiose riforme di sistema, finalizzate in particolare a ridisegnare ruolo e responsabilità dei medici di famiglia e facilitare l’integrazione con l’infermiere di famiglia; in secondo luogo, servono investimenti certi e vincolati per il personale sanitario dal 2027, oltre che un’adeguata rivalutazione del fabbisogno di personale infermieristico. Infine, occorre una rigorosa governance delle Regioni per colmare i gap esistenti. Ma soprattutto la politica, oltre a credere nell’impianto della Missione Salute, deve inserirlo in un quadro di rafforzamento complessivo del SSN».
Il Presidente dell’Enpam, Alberto Oliveti evidenziava, in merito al PNRR nel corso della presentazione del “Termometro della Salute – 2° Rapporto sul Sistema sanitario”, da un lato la necessità di rilanciare l’assistenza sanitaria territoriale con un modello organizzativo centrato su reti di prossimità, strutture e telemedicina. Dall’altro, avvertiva sulla possibilità di vuoti di assistenza tra l’abitazione del cittadino e le Case di Comunità programmate (una ogni 42mila abitanti). La proposta Enpam andava nella direzione di un rilancio dell’attuale rete degli studi di medicina generale con la possibilità dei medici di base di aggregarsi in studi più strutturati, organizzati e attrezzati, pur continuando a garantire una presenza realmente capillare e flessibile sul territorio (studi “spoke”).